La scelta di Jeremy Corbyn, leader del partito laburista inglese, di sostenere insieme al premier conservatore David Cameron le ragioni della permanenza del Regno Unito all’interno della Ue getta una definitiva ombra di discredito su tutte le forze di “sinistra alternativa” che prendono quota in ogni angolo del Vecchio Continente. Dopo il bluff di Tsipras, le cui miserabili piroette sono state giustificate oltre il limite della decenza pure dal leader di Podemos Pablo Iglesias, è ora arrivato il turno del vecchio Jeremy di baciare l’anello dei massoni mondialisti, fautori di un processo federativo progressivo e illimitato che dovrebbe infine condurre alla creazione del tanto sospirato “governo globale” in salsa gnostica. Corbyn, che era riuscito a suscitare un entusiasmo genuino – anche per via della forti accuse mosse contro le politiche di austerità – ha vaporizzato in un attimo un potenziale di credibilità faticosamente conquistato sul campo. Per giunta Corbyn, per giustificare una scelta non condivisa da gran parte del suo stesso elettorato, ha rispolverato una retorica fasulla che non incanta più nessuno: “Solo stando dentro la Ue potremo riuscire a migliorare le cose che non vanno e a garantire gli interessi della classe lavoratrice”.
Fra tutti gli argomenti possibili il leader del labour party ha puntato su quello peggiore. Ma coma si fa a non notare come il progressivo indebolimento della classe lavoratrice sia diretta conseguenza delle politiche di “allargamento” attuate in ossequio al primato del “dio mercato”? Ma come fa Corbyn a non capire che la libera circolazione di uomini e capitali favorisce i plutocrati e condanna i lavoratori alla fame? Come ha ben spiegato il compianto prof. Gallino nei sui innumerevoli studi, “i lavoratori occidentali hanno visto precipitare il loro tenore di vita nella misura in cui sono stati messi in maniera fraudolenta nella condizione di dover competere con un numero enorme di cittadini provenienti da Paesi abituati a sfruttare indegnamente manodopera a basso costo”. Se Corbyn fosse meno distratto si sarebbe accorto che la Ue è nemica giurata dei deboli e dei lavoratori, trattati come merce da sacrificare sull’altare di una competitività esasperata che avvelena la vita di generazioni intere. I nazisti tecnocratici che comandano la Ue chiedono a tutti i Paesi membri di attuare le famose “riforme strutturali”, che altro non sono caro Corbyn se non continui attacchi ai diritti del lavoratori faticosamente conquistati nel corso del Novecento.
Quale “Europa” protegge i diritti? Quella che ordina a Renzi e Hollande di approvare il Jobs Act per esempio? O quella che spinge affinché ritorni in auge un modello di contrattazione decentrata buona per costringere il singolo lavoratore a trattare con il singolo imprenditore senza poter contare sul sostegno dell’intera categoria sindacale di riferimento all’occorrenza disarticolata e paralizzata? Dispiace notare come anche un uomo come Corbyn, che vanta una storia politica e personale coerente e adamantina (lo stesso Corbyn nel 1975 aveva votato contro l’ingresso della Gran Bretagna nella Ue), non abbia saputo resistere alle pressioni dei “soliti noti”. Eppure Corbyn in passato aveva spesso trovato il coraggio di difendere le ragioni dei più deboli, sposando ad esempio la ragioni dei palestinesi (meritandosi sol per questo naturalmente l’accusa infamante di “antisemita”) mentre il resto del mondo preferiva far finta di non vedere e di non sentire. Con la sua inopinata scelta Corbyn ha dimostrato una volta ancora come l’unica dicotomia oggi esistente non riguardi il confronto fra “destra” e “sinistra” ma fra “popolo” ed “élite”. Secondo i sondaggi più recenti la maggioranza dei cittadini inglesi è favorevole alla Brexit, si tratta di uomini e donne che portano i segni di un trentennio di politiche scellerate, pronti adesso a combattere in splendida solitudine.
Più della metà dell’elettorato di Sua Maestà, dopo il riposizionamento di Corbyn, è rimasta di fatto senza rappresentanza politica. La Ue è un consesso non riformabile, autoritario e violento. Nessun uomo in buona fede, dopo l’annullamento del referendum greco del 5 luglio del 2015, può ancora negarne la natura ferocemente antidemocratica. Le sinistre di mezzo mondo invece, moderate o radicali che dir si voglia, continuano a fare la guardia al “bidone”, consigliando ai poveri e ai disperati di sopportare i colpi mortali incassati oggi nel nome della grande integrazione che vedrà la luce domani. Una versione riveduta e corretta del famoso “sol dell’avvenire” di epoca sovietica che in molti stanno ancora pazientemente aspettando.