Non c’è più tempo, vincere o morire

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La prima pagina de La Repubblica del 24 maggio 1992

di Valerio Musumeci

La cosa che colpisce è l’editoriale di Eugenio Scalfari: “Non c’è più tempo”. Sta lì, nella prima pagina de La Repubblica del 24 maggio 1992. Il giorno prima Giovanni Falcone è saltato in aria a Capaci. Sono passati ventiquattro anni e se tempo non ce n’era allora figuriamoci adesso. 

Certo tutto è cambiato, la mafia si è evoluta, si è spostata, si è finanziarizzata. Ha studiato, mastica i numeri e le percentuali e i valori di borsa meglio di tanti uomini civili o delle istituzioni. Ma non è cambiato poi tanto, se solo qualche giorno fa – in provincia di Messina, con un agguato preordinato e fortunatamente fallito – s’è messa a sparare contro Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi colpevole di non aver taciuto sul business della mafia agricola nel suo territorio. E’ andata bene, Antoci è salvo. Ma se n’è parlato poco, come di un fatto minore, come di un’avvenimento collaterale. Fosse andato a segno, il colpo, la prima di Repubblica domani sarebbe stata per lui. E Scalfari avrebbe potuto ricopiare il suo editoriale paro paro, senza affatto doverlo aggiornare

“Non c’è più tempo”, e noi lo sappiamo. Non c’è
 più tempo da perdere dietro diatribe di partito e di palazzo che fanno della lotta alla mafia uno strumento di consenso. Non c’è più tempo per inseguire i padrini dell’antimafia (anti!) nelle loro speculazioni politiche, che lasciano troppo spesso speranze distrutte in una terra che speranza ne ha poca. Non c’è più tempo da perdere in dotti editoriali sul fenomeno mafioso e sulle possibili soluzioni dello stesso – ecco perché il presente, che dotto non è, si concluderà in poche altre battute. Non c’è più tempo per analizzare, per esaminare, per discutere – Falcone l’ha già fatto, è tutto nel suo libro, il passato il presente il futuro della mafia che come ogni fenomeno umano arriverà, un giorno, alla sua conclusione. Morirà, e tutto adesso sta nel vedere se noi le sopravviveremo. 

L’eroe che commemoriamo oggi di tempo non ne ebbe abbastanza. Il nostro dovere verso di lui è non sprecare il nostro. Perché per quanto sia tardi, “possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto”. E di ogni giornalista, di ogni maestro di scuola, di ogni cittadino, di ogni persona per bene.