Diga di Blufi: ennesimo spreco siciliano

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Diga-di-Blufi-Palermo

di Roberta Barone

Non una, il libro nero delle opere incompiute in Sicilia “vanta” una vasta collezione di esempi unici al mondo. Non semplice ironia ma triste realtà resa possibile da logiche di accumulazione illecita tipiche di un sistema in cui a fare da protagonista è sempre quel grande matrimonio tra politica e mafia. Borsellino diceva bene quando affermava che “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

Secondo l’eurodeputato siciliano Ignazio Corrao, quello della diga di Blufi è “l’esempio di come le organizzazioni criminali e la politica abbiano lucrato sulle tasche dei cittadini non avendo scrupolo di mettere in ginocchio un’intera comunità come quella madonita”. Finanziato dall’Assessorato Regionale con D.A n. 00888/6 del 30 Giugno 1989 con un importo iniiale di 180 miliardi di lire, il progetto per la realizzazione della diga, che avrebbe dovuto soddisfare gran parte della domanda idropotabile della Sicilia centro-meridionale, viene interrotto nel 1995 per mancanza di autorizzazioni inerenti l’apertura delle cave in progetto ed anche perché la perizia approvata dal C.T.A.R. (Sett 93) per il cambiamento delle cave non era ancora stava finanziata. Il finanziamento, pari a 133 miliardi di lire, arrivò solo anni dopo (CIPE 22 Aprile 1999). Ma nulla di concreto si concluse nemmeno con il finanziamento di 51 miliardi di lire previsto dal Programma Operativo Regionale 2000-2006 nell’A.P.Q. riguardo agli interventi sulla valutazione di impatto ambientale, transazione, aggiornamento revisione e spese tecniche. Un’opera importante per l’intero sistema idrico regionale, costata oggi almeno 260.000.000 euro e rimasta una grande spianata cementifica.

 L’importanza della realizzazione di questa diga che avrebbe potuto risolvere buona parte della problematica siciliana relativa all’approvvigionamento idrico per le popolazioni dei comuni di Agrigento, Enna e Caltanissetta, riguarda soprattutto l’indipendenza della gestione infrastrutturale da impianti a gestione privatistica ad alto costo. Quella della privatizzazione dell’acqua, la cui distribuzione viene affidata ad enti privati spinti da logiche di profitto ben lontane dalle reali esigenze dei cittadini, è infatti uno dei grandi problemi che accomuna la Sicilia con diverse regioni italiane. In un sistema globale dove a governare è quel matrimonio tra politica e mafia (‘Mafia Capitale’ è solo la punta dell’iceberg di un Paese ormai sull’orlo del baratro) la parola “indipendenza” così sentita dal popolo, risulta un nemico sempre più pericolo da sconfiggere a favore di un potere sempre più implicito quanto criminale. L’Intellettuale Dissidente