Sicilia, dalla Regione sblocco dei fondi per Riserve Naturali a rischio chiusura

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di Roberta Barone

Sono passati almeno otto anni da quando l’allora ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, definiva la gestione italiana dei Parchi e delle aree naturali come «una sorta di poltronificio». Espressione che non lasciava molto spazio all’immaginazione: si diceva dunque che era certamente preferibile lasciare la loro gestione in mano ai privati. Ed in effetti, la manovra Tremonti ben presto dimezzò i fondi per Parchi e Aree naturali. Cosa c’entra questo excursus con l’attualissima questione del taglio dei fondi per le Riserve Naturali in Sicilia? Potrebbe entrarci tutto, come potrebbe non entrarci per niente. La risposta sicuramente verrà prima o poi a galla come la verità. Forse nei prossimi mesi, forse nei prossimi anni. Forse quando prenoteremo la nostra vacanza in Hotel di lusso costruiti nel bel mezzo di quella che, una volta, poteva dirsi una delle più belle riserve naturali della Sicilia e ci limiteremo a riguardare le foto di quelle minuscole tartarughe che, proprio in quelle calorose spiagge, trovavano la vita.

A scatenare la polemica di questi giorni è stata una circolare del dirigente generale dell’Assessorato regionale all’ambiente, Maurizio Pirillo, che annunciava la fine dei fondi destinati a ventuno Riserve Naturali sparse nell’isola. Il rischio sarebbe stato l’imminente chiusura delle stesse riserve a partire da sabato 16 Aprile. Usiamo il condizionale perché proprio ieri mattina, nel corso di una riunione tenutasi a Palermo tra i vertici della Regione e le associazioni ambientaliste, si è deciso di mettere sul piatto circa 950 mila euro necessari a coprire le spese fino a fine anno 2016. Soldi che però la Regione ha soltanto promesso, considerato che rimangono ancora bloccati quei famosi 500 milioni di euro promessi a dicembre da Roma e mai stanziati. «Per fare questa variazione di bilancio serve una delibera della giunta  – spiega bene il giornalista Giacinto Pipitone sul Giornale di Sicilia – Una procedura che richiederà una quindicina di giorni di istruttoria: nell’attesa le associazioni ambientaliste si sono però impegnate a tenere aperte e funzionanti le strutture».

Problema scongiurato dunque?

In realtà la questione potrebbe essere osservata da un altro punto di vista. In questi giorni infatti la notizia della paventata chiusura delle riserve naturali in Sicilia ha incitato varie polemiche nel mondo del web e nell’opinione pubblica in generale. Ci si è concentrati – il più delle volte – sulla figura stessa degli “ambientalisti”, piuttosto che su altro. Da un lato c’è chi li ha attaccati, accusandoli di arretratezza per il fatto di opporsi all’idea di una Sicilia con più investimenti e più attrazioni turistiche o addirittura di aver per anni perseguito “propri interessi”; dall’altro c’è chi invece li ha difesi, difendendo con essi anche l’idea di un’isola meritevole di più attenzioni e soprattutto di maggiore tutela contro le numerose speculazioni – il più delle volte private – che costantemente mettono a rischio le sue più grandi bellezze.

Senza entrare nel merito della questione favorevoli/contrari o meglio ancora simpatizzanti o non simpatizzanti della stessa figura dell’ambientalista, una riflessione però occorre farla. E cioè che il fulcro del problema non può e non deve essere incentrato sulla polemica del “finanziare le associazioni ambientaliste” o meno. Ma sull’idea che ci siamo fatti del futuro di questa isola. Vogliamo dunque una Sicilia sempre più “privatizzata” (e non per forza nella più brutta accezione del termine) e quindi colma di attività, Hotel lussuosi, attrazioni turistiche ma sempre più scarsa di quelle Riserve “selvagge” da cui traggono vita numerose specie protette ed in cui ci piace avventurarci solitari per riscoprire la bellezza ed i suoni della natura? Oppure il contrario? E’ indubbio che la presenza delle stesse associazioni ambientaliste in molte zone della Sicilia ha rappresentato per anni – comunque la si veda – un punto di freno e resistenza contro le numerose richieste private di fare delle più svariate distese e aree naturali, zone di investimento e di profitto. Un esempio attualissimo è quello della polemica scoppiata tra ambientalisti e privati in merito al progetto di costruzione del resort Adler proprio accanto alla Riserva naturale di Torre Salsa, ad Agrigento.

Al di là delle stesse polemiche sorte, spazzare via le diverse associazioni ambientaliste dalle numerose riserve naturali in Sicilia potrebbe significare anche lasciare campo libero a determinate politiche volte a sfruttare la bellezza degli stessi siti al fine di trarre profitti personali. Come rispose Zulberti, allora presidente del parco regionale dell’Adamello Brenta alla dichiarazione resa dalla Prestigiacomo sulla diversa ma pur vicina questione della gestione dei parchi, «difficilmente i privati fanno investimenti a lungo termine per azioni su biodiversità, cambiamenti climatici, sviluppo sostenibile. La salvaguardia dell’ambiente è un servizio pubblico che fanno tutti i parchi e questo non si può derogare e ha dei costi». Potremmo applicare questo discorso alla difficile, seppur per alcuni auspicabile convivenza ambiente/privati?