VITTORIO SGARBI A FREEDOM24 «SONO UN VULCANO COME L’ETNA»

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di Valerio Musumeci

Professor Sgarbi, Il museo della Follia è la seconda mostra curata da lei che si tiene a Catania nella cornice del castello Ursino. Lei l’ha definito un “museo della follia” ma anche “una follia di museo”. Dunque Catania si dimostra attenta dal punto di vista culturale. A che cosa può ambire questa città secondo lei?

 Non so quali siano le prospettive di Catania. La mostra è particolarmente riuscita perché in complementarietà con quella di Ligabue a Palermo implica che il tema della follia sia ciò che rende questo pittore così significativo. Al contempo dà la possibilità – nell’allestimento meraviglioso di Inzerillo – di valorizzare un museo anziché annullarlo. Il castello Ursino è pieno di reperti archeologici, di oggetti di varia natura rinascimentali, che sono visti in un percorso tradizionale anche se abbastanza vivace. Quando è arrivato Inzerillo, col suo talento, è riuscito a inglobare vasi, sculture, kouroi arcaici in un percorso che si lega con quello del Museo della Follia. Per cui si vedono le sculture di Cesariello [sempre Inzerillo, ndr] che sono in dialogo con il kouros arcaico, si vedono i sepolcri e i vasi che sono parte del percorso, un piatto del manicomio di Teramo messo insieme ai vasi attici, insomma una serie di convergenze così formidabilmente efficaci che il visitatore vede meglio il museo civico, che non viene (come accadeva un tempo) coperto e sovrastato dalla mostra, cioè dal nuovo.

 Una sorta di metafisica del museo, un meta-museo.

L’idea che il Museo della Follia entri nel Museo Civico del castello Ursino serve a dare maggior senso e maggiore visibilità al castello stesso, che è un museo interessante ma molto caotico. Quindi abbiamo fatto un’operazione straordinariamente utile: in più abbiamo tutto il materiale nuovo, che è la documentazione di ciò che accadeva nei manicomi, le fotografie dei manicomi vuoti, dipinti di personaggi che vivevano turbamenti e notti della mente, i capolavori di Ghizzardi che si occupa soltanto di corpi umani e di volti, mentre dall’altra parte Ligabue soltanto di animali, in un percorso che determina ciò che la follia ha prodotto di esaltante per l’umanità, come un’esaltazione delle percezioni, non un abbrutimento. Non c’è un calo di rapporto con il reale, c’è un potenziamento: e questo è il dato che si voleva dimostrare con il Museo della Follia.

 Accanto a questo “attivismo” culturale di Catania lei sa che ci sono dei problemi relativamente alla Regione che non cura adeguatamente alcuni siti. Nei giorni scorsi è stato in Sicilia e ha denunciato questo scempio anche con fotografie e documenti.

La Sicilia è in difficoltà gravi. E’ come un malato terminale, non c’è molta speranza di rimetterla in piedi. Però devo dire che il mio stimolo – come accade sempre, data la mia funzione più morale che politica negli ultimi anni – ha determinato che Crocetta mi ha subito scritto e che dovremo incontrarci. Gli dirò: non è che puoi consumare la tua vicenda umana senza aver fatto niente di niente, prendiamo tre o quattro siti e facciamoli splendere. Io spero di potergli dare questa suggestione, altrimenti lui muore come uno con la spina staccata. Per cui il mio passaggio per Morgantina, il mio passaggio per Acireale ed anche un mio riferimento a villa Piccolo hanno determinato la sua reazione, vuol dire che ancora ha qualche palpito di vita.

Ci voleva lei per rivitalizzare Crocetta.

Resta il presidente meno vitale che la Sicilia abbia avuto. Dopo aver avuto due presidenti processati per mafia – che magari non erano due riferimenti morali, però hanno dato prova di saper fare qualcosa – il fatto che lui, estraneo al mondo della mafia, non faccia niente è un segnale negativo. Dovrà reagire, e gli dirò: mettiamo Morgantina in gemellaggio con Palmira, dove la città martire diventa un riferimento anche per la nostra civiltà. E poi la dea di Morgantina, e poi Lucio Piccolo, e poi Antonello: quattro o cinque cose lui da qui alla fine del suo mandato può realizzarle, però bisogna che abbia non dico fiducia in me, che gli dico come agire, ma perlomeno la capacità di fare. Perché se uno fa il presidente della Regione e non può fare assolutamente niente non si capisce perché fa il presidente, meglio che vada al mare a fare il bagno.

 Quando c’è andato fece quella famosa foto che lei ricorderà.

 Sì appunto, mi riferivo a quello.

In questo suo blitz siciliano è passato anche da Salemi, la città che ha amministrato fino a qualche anno fa.

A Salemi è una catastrofe, è tutto fermo. Non so che dire. Ho parlato col sindaco, la città deve rinascere ma è un’impresa disperata persino per me, non dirò per chiunque altro che vi si applichi. Quello che doveva fare Salemi l’ha fatto Gangi. A Gangi c’è una città che rinasce con lo stimolo delle case a un euro, ma lì sono talmente tante le case che mi sa che se anche ci fossi stato io non sarebbe stato possibile arrivare a compimento del progetto. Per cui la città è in abbandono, l’entusiasmo ovviamente è spento e quindi non so che dire. Non è che uno possa dedicare la vita a Salemi. Visto il problema che Salemi rappresenta devo dire che è quasi stato positivo che io sia stato costretto ad andarmene, perché anch’io sarei arrivato a dei risultati non dirò deludenti ma insufficienti. La città è stata mortificata dal terremoto [il sisma del Belice nel 1968, ndr], ma ciò che oggi non sta in piedi è crollato per via dell’abbandono. Quindi è un problema complesso, Salemi, è un’importante città ma mi pare pressoché senza speranza.

Ci consenta una domanda di colore. Lei in Sicilia ha vissuto, ha amministrato, è legato a questa terra non soltanto da una questione politica ma anche da qualcosa di umano. Cosa c’è di siciliano nell’anima di Vittorio Sgarbi?

 Di siciliano non c’è niente, ma siccome sono nato sul Po la caratteristica dell’energia mi rispecchia nel luogo del quale feci una delle mie sceneggiate memorabili, che è l’Etna. Quando andai a vedere l’eruzione dissi: “Speriamo che distruggano le case”. Ci restarono male ma era giusto. Come dire, in me c’è una vitalità che è vulcanica, spesso mi chiamano “il vulcano” quando vedono quello che vado facendo in giro per l’Italia. Il vulcano è il punto di maggiore vitalità dell’Italia, e quando io ho fatto quella battuta non era certo contro i siciliani ma contro la speculazione selvaggia e mafiosa di costruttori che hanno distrutto tutte le pendici dell’Etna. Per cui il collegamento che io ho con la Sicilia è con quel luogo di energia e di bellezza che purtroppo è occultato da un’ombra di morte.