Brexit, l’insostenibile leggerezza del (diritto di) voto

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euro

di Giuliano Guzzo

La notizia non è che la Gran Bretagna si appresta, dopo il voto di ieri, ad avviare le procedure per lasciare l’Unione europea. E non è neppure quella della totale inattendibilità dei sondaggi – giovedì sera circolava, spacciata come certa con tanto di dichiarazioni soddisfatte di alcuni, la notizia dei Sì al 52% – diffusi da chi controlla l’informazione cosiddetta autorevole. La notizia delle notizie – a mio avviso – è che il diritto di voto non piace più, che la democrazia sta progressivamente smarrendo il suo fascino: e non, si badi, per mano di fascisti o presunti tali, bensì a causa di un sempre più drastico ripensamento progressista del suffragio universale. Solo così, infatti, si spiegano il punto di vista di quanti ritenevano il voto a favore della Brexit «da ignoranti», le prese di posizione contro il diritto di voto alle persone meno istruite o per limitare, ad esempio, quello degli anziani, dal momento che la maggior parte dei giovani e laureati inglesi era per rimanere nel sistema europeo.

Ora, non sarò certo io – che non scordo, fra le altre cose, come quella volta a Gesù sia stato democraticamente preferito a Barabba – ad insinuare che la maggioranza abbia sempre ragione e neppure intendo, almeno qui, addentrarmi nello specifico delle implicazioni della Brexit. Il ragionamento che vorrei brevemente svolgere è un altro vale a dire una sottolineatura dell’atteggiamento negativo – un misto fra rifiuto, incredulità e astioso rattristamento – rispetto al voto inglese da parte dell’Europa che si crede intelligente solo perché più istruita e dalla parte giusta della storia solo perché meno anziana. Cos’è: la democrazia va bene, sì, ma a corrente alternata? Il funzionamento democratico è tale solo se unidirezionale, mentre tutto il resto sono becero populismo, arretratezza e xenofobia? Ripeto: appartengo a coloro che i limiti della democrazia li hanno ben presenti, ma dai paladini della democrazia e dell’antifascismo non mi sarei aspettato un così repentino dietrofront elitarista.

Anche perché un simile atteggiamento – diffuso sia a livello istituzionale sia nei meandri dei social network – è rivelatore di un paradosso: la stessa Europa accogliente verso gli extraeuropei che arrivano a centinaia di migliaia, con le loro culture, storie e valori (non sempre democratici!), diviene improvvisamente scettica verso l’europeo medio quando questo, poveraccio, si reca al voto. E la colpa è sempre, a seconda dei casi, della demagogia di alcuni o dell’ignoranza di tanti altri: non è cioè mai di un’Europa tecnocrate e inconcludente, di un sistema che doveva nascere dal basso ma ora è capovolto, vale a dire sostanzialmente governato dall’alto in favore di interessi non sempre limpidi, a meno che – chiaro – non si voglia credere che l’Unione europea, oggi, sia nelle mani di filantropi incessantemente al lavoro per gli interessi del popolo; ma penso che la storiella dell’Europa politica buona, lungimirante e saggia ce la risparmieranno per un po’. Nel frattempo lasciateci godere il gran terremoto nei palazzi e nei mercati, specie ai piani alti, generato dall’insostenibile leggerezza del voto.