Quale insegnamento dal passato possiamo trarre per capire i tempi moderni?

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di Francesco Maria Toscano

Non è vero che le soluzioni per uscire dalla “crisi” siano difficili, sono in realtà semplicissime e scontate. Esiste una minoranza di multimilionari che gestisce patrimoni pari alla ricchezza complessiva del restante 50% più povero? Bene, si confischino i beni dei primi e si ridistribuiscano in favore dei secondi. Fine della crisi, fine della disuguaglianza. A questo punto i servi del sistema alzano il sopracciglio e dicono con faccia da ebete: “e con quale giustificazione giuridica potremmo mai avviare un simile procedimento”? Tali esseri immondi, venduti e tenuti al laccio come cani da cortile dai padroni che li pagano e li sfamano, fanno finta di non sapere che la “giustizia” non è un mondo a sé stante, separato da tutto il resto che vive di luce propria.

La giustizia umana è, in ogni tempo e in ogni luogo, la codificazione di norme di comportamento che vengono avvertite prima come “moralmente” giuste, sulla base di un sentimento diffuso già impostosi cioè per via “consuetudinaria”. Non è forse vero che oggi i tanti deboli, poveri, umiliati e schiavizzati da norme volute da una sparuta oligarchia composta da nazisti tecnocratici globalizzati sente come non più rinviabile il bisogno di “fare giustizia”? Non è forse vero che nessun reale cambio di paradigma rispetto al passato è possibile in mancanza di un segno, un simbolo destinato ad imprimere nella memoria collettiva di generazioni intere il marchio del cambiamento? La stagione nazista si è chiusa non a caso con le impiccagioni di Norimberga. E prima ancora la seconda guerra mondiale finì sulle note terribili delle bombe atomiche sganciate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Gli episodi testé ricordati, valutati in un’ottica atomistica e statica, potrebbero indurre un senso di repulsione e di postuma condanna. Chi potrebbe mai giudicare nobile la scelta di trucidare a freddo il nemico battuto in guerra? Chi potrebbe mai avallare la scelta di usare un ordigno nucleare per piegare definitivamente l’accanita resistenza di un popolo orgoglioso e coraggioso?

Ebbene, amici, non è questo il modo gusto di leggere gli eventi. Comprimendo la visuale si perde la visione d’insieme, e perdendo la visione d’insieme diventa impossibile muoversi secondo verità e giustizia. Senza Norimberga l’Europa non avrebbe mai conosciuto i trent’anni gloriosi dipinti da Hobsbawm; senza Hiroshima il Giappone non sarebbe probabilmente diventato sul finire degli anni ’80 la principale potenza economica del pianeta. Questo per dire che ciò che è oggettivamente un male valutato nella sua specificità, può diventare motore di un processo benevolo mille volte più incisivo. Quale insegnamento dal passato possiamo allora trarre per capire i tempi moderni? La paura più grande che avverto non riguarda affatto il pericolo che “la situazione possa sfuggire di mano ingenerando una spirale non più governabile delle élite ora al comando. Magari si realizzasse una ipotesi di questo tipo. La paura vera è quella del “congelamento”, dell’infinito protrarsi di un equilibrio infame che si trascina sorretto da una coltre di buonismo peloso che serve solo a nascondere la ferocia dei manovratori.

I nazisti tecnocratici non sono migliori dei nazisti classici e le loro condotte non hanno provocato meno morti di quelle dei loro predecessori. Ma i nazisti tecnocratici non usciranno di scena da soli. Solo l’evocazione di una forza spirituale e collettiva mossa dal desiderio irrefrenabile di rispondere al grido di dolore che si alza dal ventre di una Terra deturpata da uomini/demoni potrà aprire una stagione per davvero nuova. La gravità dello scempio compiuto sarà patrimonio condiviso allorquando i colpevoli riceveranno il giusto castigo per il male compiuto. Fino ad allora nessuno di noi potrà dirsi libero. Non bisogna lottare per strappare qualcosa in favore di chi non ha nulla, ma per togliere tutto a quelli che fino ad oggi hanno avuto troppo.