La mantide vuole le riforme. E le avrà

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di Valerio Musumeci

Ci siamo presi alcuni giorni prima di commentare l’ospitata del presidente emerito Giorgio Napolitano da Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa. Se da una parte la necessità giornalistica ci imponeva di passarne subito notizia – e notizia certamente è: il vegliardo non frequenta, in considerazione del suo ruolo, i salotti televisivi -, dall’altra la prudenza ci invitava, parlando di Napolitano, ad aspettare e riflettere con attenzione sulle sue parole. Perché l’uomo è profondo, è un abisso di astuzia e di segreti, l’intelligenza ne promana come da fonte, e nulla di ciò che dice è mai lasciato al caso. Alcuni giorni di riflessione, dunque, si imponevano: e qualche considerazione ne è sorta, e la sottoponiamo al lettore.

Prima considerazione: Giorgio Napolitano è più che lucido e abbastanza in forma. Al contrario di Carlo Azeglio Ciampi, col quale pure si sbaglia di pochi anni, nessun impedimento fisico gli avrebbe impedito di continuare il secondo mandato presidenziale conferitogli nel 2013. Permanendo in carica, il Napolitano del 2016 non sarebbe stato troppo diverso da quello del 2011: stessa buona salute, stessa astuzia, stesso piglio decisionistico (“Non devo più prendere decisioni ogni giorno”, diceva a Fabio Fazio, implicitamente ammettendo un ruolo esecutivo del suo particolarissimo novennato). Nessuna differenza di forma sostanziale: perde perciò consistenza la motivazione (addotta all’atto di rassegnare le dimissioni nel 2015) di non essere più in grado di reggere il peso dell’incarico presidenziale, affidatogli a norma di Costituzione fino al 2020. Semplicemente l’anziano Re Giorgio, chiamato a gestire il corto circuito politico italiano degli anni 2010-2014, se ne andò dopo aver trovato il suo successore de facto: Matteo Renzi, il giovane premier monello che aveva mostrato attitudine a bastonare partiti e Parlamento esattamente come li aveva bastonati Napolitano – con il discrimine di farlo da una funzione formalmente di garanzia, ovvero da Capo dello Stato.

Seconda considerazione: Napolitano è colui che rispetto al referendum costituzionale di ottobre sta esponendosi di più. Sembrerà paradossale, dopo le dichiarazioni di Renzi e della Boschi sulla loro volontà di lasciare la politica qualora venisse bocciata la riforma: ma ciò che Napolitano sta investendo è un patrimonio politico accumulato in sessant’anni di presenza ai massimi livelli internazionali, che ne hanno fatto il maggior referente italiano all’estero, sopratutto sulla sponda occidentale – significativo, essendo lui formalmente un comunista. Il presidente emerito sta offrendo la propria credibilità politica a garanzia delle riforme: e non sul piano interno (ove quella credibilità è stata in gran parte bruciata dalle invasioni di campo consumate nel quinquennio 2010-2014) ma appunto su quello esterno, ove gli ambienti elitari e tecnocratici che ha frequentato guardano con preoccupazione a Renzi, ritenuto politicamente poco controllabile e alquanto lunatico. Come a dire: bene le riforme, ma ci possiamo fidare? O non siamo di fronte piuttosto a un piccolo Berlusconi, sebbene più astuto e politicamente attrezzato? Napolitano dice a questi signori: garantisco io, al punto da andare a fare campagna elettorale in televisione – in prima serata, e da Fabio Fazio.

Terza considerazione: che testa. Lo dicevamo all’inizio, Napolitano potrà non piacere, potrà essere autoritario e innervato negli ambienti più oscuri del potere internazionale, ma che intelligenza, che piglio, che scioltezza a novantuno anni suonati. Non vede da lontano nessuno dei politici italiani sul campo, e forse nemmeno internazionali. Si muove appunto su un altro livello, e lo fa sempre con diafano distacco. Non vede e non sente altra ragione che non sia la sua, attacca la politica con la voracità di un insetto, è la vecchia mantide che aspetta sullo stelo del fiore che ha rosicchiato. Lo tiene in vita il potere, quello che più di ogni altro politico vivente in Italia ha conosciuto e studiato, nutrendosene per decenni nell’ombra prima di esplodere, ormai vecchissimo, in quella sua presidenza che non a torto fu chiamata regno. E’ ancora ben dentro quel potere, ne è il garante dopo esserne stato il protagonista. Gli fosse tolto, come un foglia secca cadrebbe dallo stelo. Invece la mantide sarà ancora lì a guardare, sempre più vecchia, un paese diventare ciò che lei ha voluto.