L’immigrazione «conviene»? Non proprio

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di Giuliano Guzzo

Una tesi rilanciata con una certa insistenza e ricorrenza da giornalisti, politici ed anche ultimamente uomini di Chiesa – come per esempio ha fatto monsignor Galantino ieri, in occasione della presentazione del 25esimo Rapporto immigrazione Caritas Migrantes a Roma – è quella secondo cui l’immigrazione «conviene» al Paese nella quale si verifica. Trattasi chiaramente di una posizione troppo generica, in sé, per essere condivisa o confutata (di che immigrazione si parla? Vi sono numerose tipologie possibili di immigrato, da quello per motivi strettamente professionali a quello irregolare, dall’immigrato stagionale al profugo), anche se forse, con riferimento specifico al nostro Paese, qualche considerazione è possibile.

Infatti i sostenitori della convenienza italiana, per così dire, dell’immigrazione – e del fatto che quindi i “migranti” che quotidianamente sbarcano sarebbero una quasi una manna – fondano in prevalenza la loro tesi sui risultati della ricerca della Commissione Bilancio della Camera, che dimostrerebbero, sul piano meramente economico, come i fenomeni migratori siano un affare. Cosa dicono, in breve, i risultati di questa ricerca, presentata alla Camera dei Deputati lo scorso mese di dicembre? Che le principali entrate fiscali da cittadini stranieri ammonterebbero, per il nostro Paese, a 13,7 mld a fronte dei principali costi dei cittadini stranieri presenti in Italia stimati in 10,4 mld; dunque l’immigrazione sarebbe non solo un affare, ma addirittura un affare da 3 miliardi di euro.

Dunque l’immigrazione davvero «conviene»? A prima vista, numeri alla mano, parrebbe proprio di sì. Eppure la realtà è più complessa di quanto appare, e basta non fermarsi alle poc’anzi citate stime numeriche – senza per questo giudicarle inattendibili – per comprendere come certi entusiasmi siano quanto meno prematuri. Per almeno tre motivi. Primo: la ricerca della Commissione Bilancio della Camera si riferisce ai costi dei circa cittadini stranieri, ma nulla dice di quelli dell’immigrazione irregolare e clandestina (almeno 300.000 persone) né di quella dei cosiddetti “migranti”, che pure indubbiamente esistono se si pensa che in caso di infortuni o problemi di salute l’assistenza sanitaria essenziale – com’è sacrosanto – viene assicurata a chiunque, anche se privo di permesso di soggiorno o di cittadinanza.

Guardando poi alla criminalità, la convenienza dell’immigrazione – posto che la gran parte dei cittadini stranieri è composta da bravissime persone – si fa oscura; notava infatti già anni fa il sociologo Marzio Barbagli che «quasi tutti i ricercatori hanno mostrato che, dalla metà degli anni ’70, in molti paesi europei, vi è stato un continuo aumento della quota di reati commessi da stranieri. Tale aumento è dovuto a due distinti processi. In primo luogo, è cresciuto il numero degli stranieri senza permesso di soggiorno (irregolari, clandestini, richiedenti asilo, turisti) che violano le norme penali. In secondo luogo, gli immigrati regolari hanno iniziato a compiere reati più spesso degli autoctoni. In alcuni paesi europei, ad avere tassi di criminalità più elevati di questi ultimi sono più frequentemente gli immigrati della seconda generazione (o solo loro)».

Una seconda ragione per cui occorre andarci piano ad osannare l’immigrazione come grande occasione, riguarda le cosiddette rimesse dei lavoratori stranieri, cioè il denaro inviato ai propri Paesi d’origine, che di fatto toglie loro una fetta di ricchezza da usare, in Italia, per i consumi: secondo un’analisi del Centro Studi “ImpresaLavoro” negli ultimi 10 anni sono stati inviati ai Paesi d’origine quasi 60 miliardi di euro. Ora, anche se questo fenomeno – essenzialmente a causa della crisi economica – appare in diminuzione, è chiaro come vi sia ben poco per cui gioire, stando al lato economico, dell’opportunità rappresentata dall’immigrazione che, più che essere un affare, risulta affare a metà o parziale, anche se è politicamente scorretto ricordarlo.

Un terzo motivo che rende decisamente prematuri, se non incauti, taluni entusiasmi sull’immigrazione il versante demografico e della natalità, sovente tirato in ballo come terreno nei quali i non italiani – o “i nuovi italiani” – dovrebbero rivelarsi maggiormente risorse. Così però non è e, per evidenziarlo, si può citare proprio il giornale di riferimento di mons. Nunzio Galantino e della Cei – Avvenire – che alcuni mesi fa pubblicava un articolo a firma del demografo Giancarlo Blangiardo che faceva estrema chiarezza su quanto ci sia ben poco, anzi, di cui rallegrarsi, in quella prospettiva di lungo periodo così spesso non considerata dai nostri politici, del contributo dell’immigrazione al contrasto alla denatalità.

Scriveva Blangiardo: «Nel lungo periodo gli effetti dell’ipotetica compensazione derivante dalla sostituzione dei neonati con immigrati sono destinati a produrre un accrescimento del carico sociale con un’intensità che sarà tanto più accentuata quanto più i flussi di immigrazione saranno caratterizzati da soggetti giunti da noi in età matura». «Non si stratta certo di mettere in discussione il valore dell’immigrazione a supporto della vitalità demografica di un Paese che da quasi quarant’anni non è in grado di garantirsi adeguati livelli di ricambio generazionale – aggiungeva il demografo -, bensì di riconoscerne la reale portata» per non sopravvalutare gli «effetti (temporanei) dell’immigrazione» (Avvenire, 29.4.2016, p.3).

Ora, alla luce di queste tre semplici osservazioni – alle quali se ne potrebbero aggiungere altre – diviene abbastanza chiaro come la tesi secondo cui l’immigrazione «conviene» all’Italia è, nella migliore delle ipotesi, priva di fondamento. Anche perché, se davvero l’immigrazione fosse un affare, non si comprenderebbero le ragioni per cui la totalità degli Stati del pianeta, da un lato, ne preveda una regolamentazione, in molti casi anche stretta e, dall’altro, non ne offra alcuna forma di incentivo; dovremmo concludere che tutto il globo è popolato e governato da cattivoni razzisti e xenofobi? Improbabile. Molto più verosimile è semmai l’ipotesi secondo cui oggi troppi, quando magnificano i vantaggi dell’immigrazione, non sappiano bene di che stanno parlando.