Intervista a Cristiano Pasca: “A Le Iene racconto la verità sulla mia Sicilia”

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di Valerio Musumeci

“Necessità di raccontare la verità”. Dovrebbe essere la ratio del mestiere di giornalista, ma il ragazzo che mi racconta di questa sua esigenza – e che ha accettato di rispondere alle mie domande, cortesissimo, nonostante sia impegnato in un trasloco – ci tiene a sottolineare di non essere un giornalista bensì un attore. Si chiama Cristiano Pasca, ha anni di teatro e cinema alle spalle ma il ruolo che ricopre oggi – inviato di punta de Le Iene, completo e cravatta neri d’ordinanza secondo il canone di Quentin Tarantino – lo deve proprio all’urgenza di raccontare la verità. Cosa che, mi dice, è compresa anche nel mestiere d’attore: solo che sul palcoscenico è più difficile essere picchiati, come gli è successo pochi giorni fa durante un servizio che ha realizzato per la trasmissione di Italia Uno, “Il business dell’estinzione”, dedicato alla pesca massiva di ricci di mare nel siracusano.

Lo intervisto a proposito di questo, ma la conversazione condurrà lontano, verso il rapporto tra i siciliani e la Sicilia – Pasca è palermitano -, tra gli uomini e la verità, tra il giornalismo e la recitazione, appunto, due modi diversi di raccontare la verità di cui sopra.

Cristiano, l’aggressione che hai subito durante un servizio sulla salvaguardia delle specie protette nel mare siciliano ha avuto ampio risalto. Purtroppo è soltanto l’ultimo caso di giornalisti picchiati mentre svolgono il loro lavoro.

Faccio una premessa: io non sono un giornalista ma un attore prestato a una trasmissione che realizza delle inchieste. Lo faccio perché sono una persona abbastanza curiosa, mi interessa documentare la realtà, capire i motivi che portano le persone a comportarsi in un certo modo. Facendo questo lavoro capita purtroppo di trovarsi in situazioni come quella che ho vissuto ultimamente: e devo dire che è proprio in quei momenti che ti rendi conto di quanto sia importante dare voce a denunce come quella di Sea Sheperd nella zona del Plemmirio. Si trattava di spiegare come un certo tipo di pesca, fatta fuori dalle norme previste, possa essere nociva per il patrimonio ittico e ambientale siciliano. I pescatori che abbiamo seguito durante l’inchiesta hanno reagito alla nostra denuncia in modo violento, senza sentire ragioni e preferendo le vie di fatto. E da siciliano questo mi fa doppiamente male, provando per la mia terra un amore assoluto.

Perché in Sicilia – nella nostra Sicilia – si pesca senza rispettare le regole?

Perché non c’è educazione civica, alcune persone operano senza sapere che queste regole esistono e vanno rispettate. Ciò è sbagliato da un lato perché la legge non ammette ignoranza, dall’altro perché quando qualcuno prova a spiegargliele – come noi, che per questo siamo stati menati di brutto – si reagisce in modo violento e ingiustificabile. Anche un attivista di Sea Sheperd che si trovava con noi è rimasto coinvolto nella rissa. Questo è un discorso che va bene al di là del caso dei ricci di mare che abbiamo documentato. E’ una realtà molto più complessa, di persone che agiscono in un determinato modo, sbagliando, perché non sono state messe nelle condizioni di sapere come comportarsi. E che nel corso del tempo si sono disabituate all’ascolto, intendendo che il loro modo di agire fosse legittimato dal fatto che si è sempre fatto così, che non esistono strade diverse rispetto a quelle che battono da sempre.

Un problema educativo non si risolve così facilmente.

No, e questa è una consapevolezza che fa male. Lì si tratta dell’impegno delle famiglie, della scuola, delle istituzioni, che dovrebbero formare un cittadino consapevole e maturo, qualunque sia la sua professione. Quindi dico che la colpa dell’aggressione che abbiamo subito non non è soltanto delle persone che hanno alzato le mani. I cittadini vanno formati da giovani, nel caso specifico al rispetto del mare e all’idea che esistano dei momenti in cui si può pescare e altri in cui una certa specie va lasciata proliferare per non alterare un equilibrio che è delicatissimo. Avremmo voluto spiegare a quei pescatori che la tutela delle specie è anche una tutela per i pescatori. Quando il mare sarà del tutto desertificato dalla pesca massiva, cosa pescheranno? Cosa venderanno?

Forse per loro questa è l’unica opzione. O perlomeno credono che lo sia.

E noi eravamo andati lì davvero con l’idea di metterli al corrente della realtà, del fatto che è il loro stesso lavoro ad essere messo a rischio da una gestione sbagliata dell’ecosistema e della pesca. Ma è chiaro che non possiamo risolvere un problema generazionale con un servizio televisivo, per quanto sia importantissimo informare il pubblico dell’esistenza di questa pesca illegale in modo che si sappia che non si può comprare un certo prodotto ittico in quantità industriali, giornalmente, senza rischiare di compromettere una filiera che è molto delicata. La risposta è stata quella che avete visto in televisione, ma ripeto che si tratta di un problema molto più ampio.

Hai detto di non essere un giornalista ma un attore, e di fare questo mestiere per la tua voglia di raccontare la verità. Cosa si prova a scendere dal palco e trovarsi in strada, dove può succedere di tutto? Vale la pena di correre questo rischio?

Direi che la ricerca della verità non sia estranea al mestiere di attore. In fondo si tratta di una maniera diversa di approcciare la stessa esigenza, con la consapevolezza che se lo spettacolo va male raramente gli attori vengono picchiati. Faccio un esempio: se io come attore porto in scena l’Amleto, in realtà sto aprendo una discussione sulla politica, sto dicendo allo spettatore che le cose sono andate così anche nel passato e che il contenuto di quella tragedia è di un’attualità impressionante. Il giornalismo d’inchiesta delle Iene è una possibilità in più di raccontare la verità, grazie a un gruppo di lavoro straordinario di cui l’inviato è soltanto l’elemento visibile. Ci sono poi gli autori, i cameraman, una squadra intera che è lì con te a rischiare, a beccarsi le botte senza nemmeno la soddisfazione – che ti assicuro è nulla – di finire sui giornali. L’unica soddisfazione è contribuire a creare consapevolezza, ad aprire una finestra sulla verità. E per me è qualcosa di fondamentale, come mangiare e bere, come respirare.

(CittadiniComuni)