Caro Silvio ti scrivo

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Silvio Berlusconi da giovane

di Valerio Musumeci

Caro Silvio,

ci sono occasioni nella vita in cui la politica e gli affari non contano nulla. Come oggi: ti operi al cuore, tu vecchio leone mai domo – mi permetto il “tu” perché hai detto di essere sempre stato “Silvio” per tutti – tu vecchio leone, dicevo, fai forse per la prima volta i conti con il tempo nel suo senso più vero, ineluttabile, e per uno come te abituato a vincere sempre – su tutto hai vinto, eppure molto hai perso – la sensazione dev’essere nuova. Potevi vincere sul mercato, nel pallone, nella politica; assembrare aziende e dissolverle, inventare un nuovo modo di fare calcio, fondare un partito e trainarlo – con i tuoi soldi, con la tua influenza, con il tuo carisma – a vincere le elezioni in pochi mesi e partendo da zero. Il potere che avevi costruito era tale da durare ancora, pochi giorni fa, alle elezioni amministrative: senza fare molto ritornavi ad essere, nero su bianco, il gigante tra i nani del centrodestra, vincendo alcune battaglie personali e togliendoti vari sassolini dalle scarpe. Giusto dopo le elezioni – si narra che ti sia sentito male il sabato, e che sia andato a votare lo stesso la domenica – il ricovero e quei pochi giorni di mistero sulle tue condizioni. Si è capito tutto quando non hanno fatto passare Verdini: non sei il tipo da rifiutare una visita in ospedale, in quel “Berlusconi può vedere solo parenti ed intimi” è apparso chiaro che qualcosa non andava. Poco dopo il tuo medico, che chiaramente vorrebbe fare l’attore, confermava tutto quanto. Insufficienza aortica grave.

Non sei eterno, Silvio. E mentre ti faccio gli auguri più sinceri per l’intervento che stai per affrontare, non posso non ricordarti che di eterno, in questa vita, non c’è nulla. Quando si forza qualcosa ad esserlo sopravviene il ridicolo: sai che in Corea del Nord, in pieno regime comunista, c’è un Presidente Eterno in carica oggi e per sempre? Si chiama Kim Il-sung, c’è solo il dettaglio che è morto nel 1994. Il culto della personalità, pur di non privarsi di un leader che si dice amato, è arrivato a costruire una ridicola pantomima. Tu sei troppo intelligente – che intelligente sei, non furbo – e troppo poco comunista per non capire che quel destino non fa per te. Che il culto della personalità non può superare la personalità – e tu molta ne hai. Ti sentiresti uno sciocco, dal Paradiso o dal Purgatorio, ad essere celebrato come “eterno” dopo aver reso l’anima a Dio: figurati quanto sciocco saresti ad accettare lo stesso trattamento da vivo.

Mi riferisco naturalmente al bailamme che è iniziato intorno alla tua permanenza o meno sulla scena politica. I giornalisti hanno subito inventato lotte alla “successione”, come se potesse esserci un tuo successore – ma nella sciocchezza hanno messo in luce un dato: l’unica persona leader in Forza Italia è Mara Carfagna, e si vede -, i fedelissimi hanno ribadito che tu resti in campo, “oggi noi un leader ce l’abbiamo e si chiama Silvio Berlusconi”, ha detto il tenero Brunetta. Adesso Silvio, guardiamoci negli occhi: non farti fregare. Tanto da tempo abbiamo capito che tu non aspetti che una cosa, riprendere il seggio che ti fu tolto a Palazzo Madama. Quello è per te l’unico sgarro, la vera soverchieria. Tutto il resto, i colpi di Stato i complotti le macchinazioni sono tutte cose vere ma che ti vedono coprotagonista. Da “concavo con i convessi e convesso coi concavi”, anche lì, non hai saputo fare a meno di mediare, di contrattare, di cadere in piedi (vedi il Governo Monti). L’imprenditore prevalse sullo statista, categoria alla quale comunque ti ascrivo rispettando il tuo avere inventato il bipolarismo in Italia, i tre G8 da te presieduti, la bella scena di Pratica di Mare, il discorso al Congresso degli Stati Uniti, quello alla Knesset, il tuo sangue in piazza a Milano, il tuo alzarti per mostrarlo alla folla, l’infinito vortice di Storia che non ti si può negare. Tutto questo, per te, è quel seggio in Senato: e vorresti tornarci prima di andartene, eletto o a vita, per riprenderti ciò che credi ti sia stato ingiustamente strappato.

Per riavere quel seggio, caro Silvio, non serve giocare a fare il giovanotto nelle piazze o in televisione. Non servono le convention soffocanti, gli aerei da prendere in giornata, i flash dei fotografi sui tuoi occhi quasi ciechi. Quel tipo di protagonismo non ti appartiene più, c’è adesso uno cento volte più stronzo di te e con quarant’anni di meno. Arriva un momento nella vita – questo in definitiva vorrei dirti, se questa mia ti arrivasse – in cui non c’è maggior presenza dell’assenza, maggior interesse che il disinteresse, maggior lavoro che il riposo. E la tua creatura, dirai tu? La Forza Italia il cui spirito del ’94 hai fatto diventare qualcosa di mistico? Non lasciare che ti sopravviva per disciogliersi, Silvio. Forza Italia sei tu, non è possibile – perciò non l’hai trovato – pensare ad un successore perché non esiste un altro te. Ma un nuovo soggetto, composto dai tre partiti della coalizione con elezioni primarie convocate e un candidato da te benedetto a vincerle per guidarlo (la Carfagna va benissimo), quello sì, è ancora pensabile. Ancora, ma non per sempre. Sei ancora più forte di Salvini, puoi farlo. E quel nuovo contenitore, che non saresti più tu ma anche tu, potrebbe darti il seggio che vuoi e meriti in Senato. Vincere le elezioni? Non lo so. Non sarebbe la riedizione del Popolo della Libertà? Magari sì, ma stavolta – spero – non avresti amici di Napolitano a tradirti. Tanto ti dovevo, Silvio. Auguri carissimi, per tutto. Viva l’Italia, viva la Libertà! La tua.