“Via gli spot dalla tv dei bambini”. Bravo Renzi, ma meno pubblicità anche per te

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di Valerio Musumeci

«Ho un piccolo conto aperto con la Rai». Così, pochi giorni fa, Matteo Renzi ha scritto nella e-news che periodicamente redige sul suo sito internet. Un piccolo conto aperto, dunque, e certamente l’eponima Mamma Rai si sarà sentita male. Dopo aver praticamente doppiato la legge Gasparri, dopo aver insediato Antonio Campo Dall’Orto direttore generale, dopo aver nominato l’indipendente Daria Bignardi direttore a Rai 3, dopo aver fucilato i talk-show in cui è nato e cresciuto con frecciatine al vetriolo, dopo tutto questo il Presidente del Consiglio ha ancora un conticino aperto? Si tratterà forse di castrare il cavallo di viale Mazzini, avrà pensato Mamma. Invece, dopo doverosa e bullesca precisazione («No, non vi spaventate. Non mi riferisco ai talk-show». Paura eh? Secchioni!) , il premier ha comunicato la natura – positiva certamente – del conticino: «Quello che devo confessarvi è che una delle mie prime iniziative da giovane studente universitario – annota il dinamico premier – fu quella di chiedere insieme a un gruppo di amici di togliere la pubblicità dalla tv dei bambini. Eravamo giovani ingenui e forse illusi. Infatti non ci filò nessuno, nemmeno per sbaglio. Oggi sono molto contento di segnalarvi la decisione del DG della Rai, Antonio Campo dall’Orto, che ha disposto che dal 1° maggio 2016 la tv dei bambini (Rai Yo-Yo), ma anche Rai Cinque e Rai Storia non avranno più la pubblicità. E’ una cosa piccolissima, mi rendo conto. Però ci tenevo a condividerla, da padre prima ancora che da presidente del consiglio». Evviva, i nostri pargoli – la percentuale di essi che guarda Rai Yo-Yo, perlomeno – non saranno più subissati da spot e marchette. Si fosse limitato a ciò, Renzi, pur non apprezzandone tante cose avremmo titolato complimenti alla cosa. Il fatto è che il capo del governo ne ha approfittato per lanciare l’ennesima vendita d’aria ipocalorica (giusto per distinguerla da quella di Berlusconi, che storicamente era fritta): grande contest d’idee sul servizio pubblico televisivo.

 

«Nelle prossime settimane discuteremo del contratto di servizio per la RAI – scrive ancora il dialogante Renzi – di concessione, di temi che solitamente vengono affrontati solo dagli specialisti. Mi piacerebbe che ne parlassero gli italiani. Perché la Rai non è del Governo, non è del Parlamento, non è del ministro. La Rai è delle italiane e degli italiani. E allora ho chiesto agli uffici competenti di aprire un dialogo in tutte le forme, in tutti i luoghi possibili, su cosa si aspettano i cittadini dalla Rai. Che tipo di servizio educativo? Che tipo di missione informativa? Quale rilancio culturale? Quale protagonismo industriale? Quali idee per i nostri figli?». E ancora, è possibile pensare a un bonus per la signora Anna Moroni, che ormai da anni lavora indefessamente a “La Prova del Cuoco” per il piacere della Clerici e la gloria della Nazione intera? Beppe Severgnini avrà ancora un programma televisivo o ci accontenteremo dell’indelebile ricordo dell’ultimo (“L’erba dei vicini”, su Rai3, indimenticabile)? La consultazione, insomma, sembra tanta fuffa: soprattutto perché Renzi ci ha abituato al fatto che il dialogo tra governo e cittadini (come quello tra governo e parti sociali, tra governo e scuola, tra governo e Chiesa) si risolve sempre invariabilmente come una conferma di ciò che vuole lui. Com’è possibile? Tutti sono d’accordo con Renzi su qualsiasi cosa? In questo caso il premier avrebbe percentuali di consenso rasenti il cento per cento, meglio del Berlusconi degli anni d’oro con “l’ultimo sondaggio” sotto l’ascella. Non è che forse, più probabilmente, Renzi se la canta e se la suona con questo “dialogo”, con le “consultazioni”, con le “primarie”, facendone soltanto uno strumento di democrazia apparente da rivendere nei salotti che frequenta, per primo quello super-pro-gay della gaia Barbara D’Urso (cui annualmente partecipa con grande piacere e grave scorno del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, cui aveva promesso dialogo e tutele: infatti) seguito a ruota dal desco bianco di Lilli Gruber? (Eppure quest’anno la Lilli è stata un po’ snobbata: vuoi vedere che sulla poltrona più alta di Rai3 c’è stata una lotta e qualcuno l’ha persa? Sssst!).

 

Ma forse siamo pieni di pregiudizi noi (anzi sicuramente, visto ciò che pensiamo su tutta una serie di cose oggi riunite dentro un loghetto viola). La verità è quella che il piacente premier affida alla chiusura della sezione “Rai” della sua e-news prepasquale. «Leggo come sempre volentieri le vostre email all’indirizzo: matteo@governo.it A proposito di confronto e di proposte, un gruppo di ricercatori italiani che studiano e lavorano all’estero ha scritto un appello su Repubblica. Qui trovate il link alla mia risposta [il link non lo riportiamo ma c’è, ndr]. Che non si limita a riportare tutto quello che stiamo facendo per la ricerca in Italia, perché dia chance ai più meritevoli ma riesca anche ad attrarre studiosi dall’estero. Come accade ai laboratori di fisica del Gran Sasso che ho visitato di recente. Ma che intende coinvolgere chiunque abbia idee e voglia e non si rassegni mai all’idea di un paese fermo. Che noi siamo determinati a rimettere in moto anche in un settore così decisivo per il futuro come quello dell’università e della ricerca». Bello, bene, bravo. Vai di lettere su La Repubblica e tavole rotonde e sondaggioni online, in un crescendo travolgente di democrazia ipocalorica (non fritta) che il nostro Paese sconosceva. Ma perché queste esagerazioni? Non era meglio limitarsi a dire che ai bimbi sul servizio pubblico non sarà più appioppata la pubblicità? Forse no, se tutto il resto delle dichiarazioni del premier è ugualmente uno spot. La Croce – Quotidiano