Il forno Pd è quasi chiuso. Verso lo stop senza votare

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1493569006-newpress-20170428202044-22939284Spaccatura, scontro, scissione? A sentire gli umori Pd non sarà così. «Finirà a tarallucci e vino: tutti compatti e i soliti cinque o sei astenuti», rispondono autorevoli dirigenti a chi chiede loro come andrà la Direzione, convocata per il 3 maggio (perché il 3? «Il 2 c’è la Roma»).

La trattativa aperta dal reggente Maurizio Martina coi grillini, insomma, è già finita su un binario morto, al di là dei minuetti più o meno bugiardi delle dichiarazioni ufficiali. Il treno si è bloccato contro il muro rapidamente alzato da Matteo Renzi: bastava osservare come ieri le giulive affermazioni dell’ex esploratore Roberto Fico in uscita dal Colle («L’esito del mio mandato è stato positivo, il dialogo col Pd è avviato, aspettiamo la Direzione Pd») siano state accolte da una grandinata di ironiche smentite. «L’ottimismo di Fico è sorprendente», dice il capogruppo al Senato Marcucci, «Con la logica fatto compiuto non si va da nessuna parte. La direzione Pd, che è una cosa seria, dovrà decidere se aprire o meno confronto con il M5S. E le distanze restano profonde». La parola chiave è «se»: quel dialogo che Fico dà per scontato è tutt’altro che iniziato, anzi.

«Fico è felice dell’esito delle consultazioni? Se si accontenta così, sono felice per lui. Siamo convinti che il Pd non potrà votare un governo Di Maio», incalza Alessia Morani. «Non sappiamo se e come questo dialogo possa iniziare. E se iniziasse, partirebbe dai 100 punti di programma del Pd», chiarisce David Ermini. E tutta l’ala renziana si assesta su questa linea. Del resto, lo stesso Martina, che due giorni fa aveva fatto una fuga in avanti aprendo ai grillini, ieri era tornato cauto e le sue dichiarazioni al termine del secondo colloquio della delegazione Pd con Fico erano state assai più guardinghe: «Vogliamo riconoscere il passo avanti fatto da Di Maio con il no alla Lega, ma restano le difficoltà e le differenze». Di lì a poco, peraltro, lo stesso Di Maio si incarica di smentirlo, riaprendo a Salvini, minacciando Berlusconi di chiudergli tv e giornali e attaccando i governi Pd: terra bruciata. Nel Pd sono convinti che, dopo il voto di domenica in Friuli, le danze tra Carroccio e Grillini riprenderanno slancio: «Né Salvini né Di Maio possono permettersi di avere l’altro all’opposizione – ragionano al Nazareno – e del resto sanno che le loro basi sono molto più affini tra loro che con la nostra. Trattare con noi sta creando enormi problemi ai pentastellati». Quanto alla base Pd, anche l’ala mattarellian-trattativista dei Martina, Franceschini, Fassino eccetera ha capito che i loro elettori stanno nettamente dalla parte dei «niet» renziani. I sondaggi lo confermano: per Euromedia di Alessandra Ghisleri, solo un elettore Dem su cinque sarebbe favorevole a un’intesa con il partito della Casaleggio. Per Emg, il 70% degli elettori Pd è contrario a un governo con i grillini. Meglio quindi evitare uno psicodramma interno e una conta in Direzione, che – chiunque vincesse, e la vincerebbe con ogni probabilità Renzi – lascerebbe solo macerie. E dopo, i numeri per far partire un governo non ci sarebbero comunque, con un Pd spaccato. Ergo, «forno chiuso». Se poi Salvini e Di Maio fallissero anche il bis, si vedrà: «E in quel caso, a condurre un’eventuale trattativa di governo sarà Renzi. Sapendo che il M5s ha più paura di noi del voto», si spiega dal Pd.