“Chiedete a Salvini perchè mi attacca. I leader si misurano col consenso”

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Presidente Berlusconi, le celebrazioni del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma colgono l’Unione in una crisi potenzialmente fatale: i 27 divisi su tutto, con la Gran Bretagna che annuncia una «hard Brexit» e Donald Trump che sembra voltare le spalle sia all’Ue che alla Nato, considerando l’alleanza atlantica «obsoleta». C’è ancora una possibilità per l’Europa?
«Il sogno europeo oggi è più attuale che mai. La costruzione dell’Europa come è stata realizzata dai burocrati di Bruxelles invece è fallita e sta suscitando crescenti reazioni di rigetto. Vede, il sogno europeo è quello con il quale è cresciuta la mia generazione: era il sogno di un grande spazio di libertà, economica, politica e civile; di pace e sicurezza condivisa; di un ruolo dell’Europa nel mondo come portatrice dei valori fondanti delle nostre società: libertà, democrazia, dignità dell’uomo. Cosa ne è rimasto oggi? Una cosa, importante: la pace nel nostro continente. Ma tutto il resto è svanito, si è dissolto. Chi si sente davvero cittadino europeo? Qual è l’anima, l’identità di questa Europa? Quell’Europa, se fosse nata, avrebbe saputo dare una risposta a queste domande. Quella attuale dei burocrati e dei contabili di Bruxelles non osa neppure provarci. L’Europa deve ripensarsi a fondo, oppure muore. Parola di un convinto europeista. ».

Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia

Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia

L’Ue ci ingiunge di fare una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro. Il governo sembra intenzionato a tenere duro, respingendo la richiesta di nuovi tagli e tasse. Come sta operando Gentiloni nel rapporto con Bruxelles?
«In questa vicenda si sommano due torti, uno europeo e uno italiano. Entrambi vanno al di là della responsabilità contingente del Governo Gentiloni, che si trova a gestire una situazione che ha ereditato. Il torto dell’Europa è quello di applicare un rigore burocratico e formalistico, che non tiene conto nè delle esigenze dello sviluppo, né delle particolari condizioni dell’Italia, dall’emergenza profughi a quella dei terremoti. Se l’Europa fosse rigorosa nell’imporre a tutti gli Stati di accogliere la propria quota di rifugiati quanto lo è nell’imporre regole contabili, forse avremmo più il senso di una unione di popoli e meno quello di una superburocrazia ottusa».

Dunque assolve Gentiloni e getta la croce su Renzi?
«Il governo Renzi ha impostato un bilancio in deficit, quindi creando ulteriore indebitamento, non per fare investimenti o per rilanciare lo sviluppo, ma per distribuire promesse di denaro a pioggia nella speranza di comprare il consenso di alcuni settori o categorie in vista del referendum. Quel progetto è fallito, ma sono rimasti i conti da pagare, per il governo Gentiloni e per tutti gli italiani. Come si comporterà il nuovo esecutivo in questa difficile partita è tutto da vedere: credo però che la scelta di evitare affermazioni roboanti che poi non si è in grado di sostenere sia un apprezzabile segnale di serietà».

Un’altra crisi che sembra colpire sempre più duramente l’Italia è quella dell’immigrazione clandestina. Il ministro Minniti suggerisce il doppio binario: espulsioni per i clandestini, accoglienza e integrazione per chi ne ha diritto. La convince questo approccio?
«L’approccio del ministro Minniti è corretto, ma affronta solo la parte finale del problema. Quello che dovremmo chiederci non è soltanto come gestire profughi e clandestini una volta arrivati in Italia: è piuttosto come evitare che ci arrivino. Il mio governo aveva realizzato una serie di accordi con i governi del Nord Africa, primo fra tutti la Libia di Gheddafi, per fermare all’origine questo traffico di esseri umani. Purtroppo sappiamo com’è andata: la miopia e l’egoismo di qualche governo europeo, spalleggiato dalla sinistra in Italia, hanno portato alla caduta di Gheddafi e degli altri governi nord-africani, sull’onda della c.d. “primavera araba”. Il risultato è stato il caos, l’infiltrazione degli estremisti islamici, la ripresa massiccia degli sbarchi, alimentata anche dalle situazioni di guerra civile, per effetto delle quali ai migranti economici si sono sommati i profughi in fuga dai conflitti. Se non si chiude questo flusso, se non riusciamo a stabilizzare l’Africa e il Medio Oriente, a porre fine ai conflitti, a fermare il jiahdismo e ad assicurare una decente prospettiva di sviluppo a quei paesi, allora il problema esploderà in modo sempre più grave. Per realizzare questo non bastano ovviamente le forze dell’Italia e neppure quelle dell’Europa. Occorre una grande coalizione che veda protagonisti l’Europa, gli Stati Uniti, la Russia, la stessa Cina, i Paesi Arabi moderati. Per quanto poi riguarda coloro che hanno titolo per essere ospitati nel nostro Paese, l’equazione legalità-diritti mi sembra corretta, ma va intesa in senso più ampio. Chi vuole vivere da noi è il benvenuto se lavora e non viola leggi, ovviamente, ma questo non basta: occorre che sia disposto ad integrarsi davvero nella nostra cultura, a sentire l’Italia come il suo Paese, a capire e condividere i nostri valori civili, come la libertà e la dignità delle persone. Per cui nessuna indulgenza può esserci verso chi – anche rispettando formalmente le leggi – incoraggi comportamenti, stili di vita, scelte religiose che guardano alla violenza, alla sopraffazione, alla limitazione dei diritti individuali. Insomma, sì alle Moschee dove si prega, no alle Moschee dove si fa propaganda islamista, sì alla libera scelta di ciascuno, no alla sottomissione della donna anche nell’ambito familiare».

È iniziata l’era Trump e gli Stati Uniti sembrano privilegiare rapporti diretti con la Russia di Putin e con la Gran Bretagna, senza vincolarsi ai vecchi alleati europei. Vede dei rischi nel nuovo approccio della presidenza Trump?
«Per esprimere un giudizio attendiamo i primi atti concreti di Trump. Io, per ora, da un lato vedo con molto favore il ritorno ad una collaborazione con la Russia di Putin che per l’America e tutto il mondo libero dev’essere un amico e un alleato, non certo un nemico. Dall’altro vedo tutti i rischi di un ritorno all’isolazionismo. Sarebbe un grave errore, se accadesse, sia per il mondo intero ma anche per l’America. Però se questo dovesse avvenire, io credo che sarebbero i paesi liberi dell’Occidente a doversi fare un esame di coscienza: quante volte abbiamo delegato all’America gli oneri economici, politici, ed anche di vite umane, della nostra difesa nelle situazioni di conflitto? Quanto abbiamo stanziato del nostro PIL per partecipare al comune impegno di difesa? Quante volte abbiamo trattato, noi europei, gli Stati Uniti con un presuntuoso e malinteso senso di superiorità e di malcelata ostilità? I cartelli con la scritta “yankee go home” hanno riempito per decenni le piazze italiane. Basti ricordare le manifestazioni dei cosiddetti “pacifisti”, ma anche i continui distinguo di molti governi europei nei momenti più delicati dell’impegno internazionale degli Stati Uniti. Le faccio un esempio: prima che scoppiasse la guerra in Iraq feci tutto il possibile per sconsigliare il presidente Bush dall’intervenire militarmente. Ma quando l’intervento avvenne, anche noi facemmo prevalere le ragioni della solidarietà atlantica, i comuni ideali di libertà e di democrazia, e sostenemmo l’impegno dell’America. Molti altri stati europei non fecero così, né in quella né in altre circostanze. Ma ora che gli americani pensano di “go home” davvero, tutta l’Europa piange e trema, ma tutta l’Europa deve anche fare un serio esame di coscienza».

Persino la platea dei super-ricchi riuniti a Davos ha ammesso che l’attuale disuguaglianza nei paesi sviluppati costituisce una minaccia per la stessa democrazia e apre la strada alla vittoria dei populisti. C’è una ricetta per chi governa o il destino ineluttabile è la vittoria delle forze anti-sistema e anti-Europa, dalla Francia all’Olanda fino all’Italia?
«Il problema delle nuove povertà esiste ed è molto grave, anche in Italia, se è vero che nel nostro Paese, come certifica l’ISTAT, esistono 15.000.000 di persone in condizioni di povertà, delle quali 4.600.000 in una situazione di povertà assoluta. E’ la vera emergenza della nostra epoca, anche perché non si tratta solo delle povertà “tradizionali”, ma di un ceto medio impoverito, indebolito dalla crisi, dalle tasse, dall’impossibilità di trovare occupazione per i figli. Un ceto medio che è scivolato progressivamente, da una vita dignitosa, fino al di sotto della soglia di povertà. E’ un ceto impaurito dalla criminalità alla quale è esposto, dalla convivenza difficile con l’immigrazione, dal venir meno delle certezze per il futuro. Ed è un ceto ovviamente disperato e rabbioso verso una politica che non lo sa ascoltare, verso le vecchie logiche assistenziali della sinistra, che garantiscono solo coloro che sono già garantiti, verso un mondo politico che parla solo per addetti ai lavori, e che non sa trovare nessuna soluzione. Le forze “anti-sistema” non sono ovviamente una via d’uscita, ma sono un campanello d’allarme che suona sempre più forte. Dobbiamo ripensare la globalizzazione che ha provocato grandi ferite nelle società Occidentali. Questa è la grande sfida che le classi dirigenti hanno di fronte: la democrazia liberale potrà uscirne rinnovata e rinforzata, oppure distrutta. In questo caso, andremo verso tempi molto oscuri».

Il governo vorrebbe dar vita a un reddito di inclusione, stabilendo una soglia minima sotto la quale interverrebbe la mano pubblica. Forza Italia lo voterebbe?
«Forza Italia non si opporrà certo a misure in grado di dare sollievo a chi è in difficoltà, purché siano concrete ed efficaci. Un modello che mi piace molto è quello proposto da Milton Friedman, l’economista americano premio Nobel. Friedman aveva studiato una “imposta negativa sul reddito”, vale a dire che fosse lo Stato – sotto una certa soglia di reddito imponibile – a versare denaro al cittadino invece di chiederlo. Naturalmente questo andrebbe inserito in una riforma complessiva del sistema fiscale, e nell’ambito di un ripensamento degli ammortizzatori sociali. Dovrebbe essere anche legata a comportamenti virtuosi di chi la percepisce, non solo il rispetto delle leggi ma anche – per esempio – la ricerca attiva di un lavoro se disoccupato, la frequenza scolastica regolare dei figli, ecc.».

Pochi giorni fa, dopo decenni, un italiano è riuscito a conquistare la poltrona più prestigiosa del parlamento europeo. Ma la Lega non ha votato Tajani. Se l’aspettava?
«Sono rimasto molto deluso. Tajani ha vinto perché ha saputo identificarsi con le posizioni moderate, liberali, cristiane, riformatrici, che vincono in tutt’Europa. Le stesse che noi rappresentiamo con orgoglio in Italia. Non credevo che la Lega potesse essere indifferente nella scelta fra un moderato espressione del centro-destra e un esponente del PD sostenuto da tutta la sinistra. Faccio fatica a capire, ma non voglio polemizzare: per me le ragioni dell’alleanza sono più importanti».

Ormai non passa giorno senza che Salvini non la attacchi personalmente. Che idea si è fatto di questo martellamento?
«La domanda andrebbe rivolta a Salvini, non a me. Immagino che si stia ponendo un problema di leadership che è del tutto prematuro e che comunque non appassiona gli italiani. Sono ben altri, e più concreti, i temi ai quali bisogna dare una risposta: fisco, sicurezza, immigrazione, giustizia, infrastrutture. E comunque le leadership non si misurano sulle polemiche, ma sul consenso».

Insieme a Meloni e Salvini c’è sempre anche Toti. Sbaglia il suo ex consigliere a concedere tutto questo credito alla nuova alleanza “sovranista”?
«Giovanni Toti è il presidente di una regione che governiamo insieme a Lega e Fratelli d’Italia. E tutt’oggi, non è un ex, ma è uno dei miei collaboratori tra i più ascoltati. Come tutti noi di Forza Italia si dimostra leale all’alleanza. Spero, anzi sono certo, che la lealtà sarà reciproca da parte dei nostri alleati».

Il segretario del Pd le sembra cambiato? Ha capito la lezione del 4 dicembre?
«Me lo auguro per lui. Il voto negativo del referendum non è stato soltanto un giudizio negativo sulla riforma o sull’attività di governo. Gli italiani hanno rifiutato di dare una legittimazione nelle urne a chi non soltanto era andato a Palazzo Chigi senza il voto dei cittadini, ma una volta lì ha dimostrato arroganza con amici e avversari, è venuto meno ai patti, ha cercato con ogni mezzo di affermare una visione distorta della realtà, ha vantato successi inesistenti. Tutte le principali riforme del governo Renzi sono fallite, sono state bocciate dagli italiani, dalla Corte Costituzionale o dalla giustizia amministrativa. Le poche leggi andate in porto hanno comportato costi elevati senza produrre risultati concreti. Certo risolvere i problemi dell’Italia non è facile, tanto meno alla guida di un partito contraddittorio e obsoleto come il PD. Ma Renzi ha pagato un grave scotto all’inesperienza e all’eccesso di ambizione. Essere brillanti nella parlantina non significa saper governare. Spero rifletta e impari dalla sconfitta. Lo spero molto. Ma per ora non ho visto molti segni di cambiamento».

Si è riaperto un canale di comunicazione con Renzi sulla legge elettorale? La sentenza della Corte costituzionale si avvicina…
«Credo che dovremo cominciare a parlare di legge elettorale quando la Corte si sarà pronunciata. Solo allora avremo un quadro preciso dei criteri e dei limiti ai quali attenersi. Fino a quel giorno tutto quello che si dice sulla legge elettorale appartiene alla categoria delle illazioni o dei desideri».

Quali sono le linee guida che dovrebbero ispirare la nuova legge elettorale? Proporzionale con un premio di governabilità al primo partito?
«E’ fondamentale che la nuova legge elettorale consenta la massima corrispondenza fra il voto espresso dai cittadini e la maggioranza parlamentare. Solo così sarà possibile arrivare ad un governo che sia davvero espressione degli italiani. Ogni distorsione in senso maggioritario, in uno scenario tripolare come l’attuale, porterebbe al governo una minoranza, qualunque essa sia, contro il parere dei due terzi degli elettori, e – considerando l’astensionismo – senza il consenso dell’80% degli italiani. Questa non è più democrazia, e non possiamo permettercelo, soprattutto in un momento nel quale già gli italiani si sentono molto lontani dalla politica, dalle istituzioni, dalla partecipazione democratica. Se quanti ancora votano vedessero vanificati gli effetti del loro voto, l’astensionismo crescerebbe fino a livelli drammatici, e si consumerebbe un definitivo distacco fra istituzioni rappresentative ed elettori. Questo ci condurrebbe su una china molto pericolosa».

Collegi piccoli o preferenze?
«Ritengo che le preferenze siano il peggior sistema possibile per garantire una effettiva rappresentanza degli elettori. Le preferenze premiano la notorietà comunque acquisita, le lobby organizzate, chi ha tanti soldi da spendere, con le preferenze è altissimo il rischio di un vero e proprio “voto di scambio”. Fra un professore universitario e un personaggio dello spettacolo prenderebbe molte più preferenze certamente il secondo. Nessuno si offenda, attori e cantanti possono essere ottimi politici, Reagan lo dimostra, ma devono dimostrarlo con le idee, non sullo schermo o sul palcoscenico. I candidati devono piuttosto essere proposti agli elettori in piccole circoscrizioni, in modo che i cittadini possano conoscerli, possano avere un rapporto diretto con loro, sappiano con chi hanno a che fare e dove cercarli dopo l’elezione per chiedere conto del loro operato».

Il 26 gennaio ricorre il 23esimo anniversario della sua discesa in campo. Ma di Forza Italia se ne sta occupando qualcuno? Al di là della sua leadership e della struttura parlamentare non sembra esserci altro. Ci sono novità in vista?
«Mi dispiace che lei abbia un’idea così distorta della realtà di Forza Italia. Il nostro è un Movimento politico fatto di migliaia e migliaia di eletti, di dirigenti, di militanti, di attivisti e simpatizzanti, tutti volontari, che in ogni città e in ogni provincia combattono con coraggio, disinteresse e determinazione grandi battaglie di libertà. E’ un errore immaginare che Forza Italia si esaurisca nella sua struttura nazionale, che pure esiste ed opera molto bene. Certo, abbiamo dovuto fare i conti con una legge punitiva, costruita apposta per danneggiare noi, una legge “contra personam” che mi impedisce di finanziare, come ho fatto in passato, l’attività politica degli azzurri. Questo ha imposto al Movimento tagli e sacrifici. Ma non è detto che sia un danno: stiamo imparando ad organizzarci in maniera più snella e più sobria, come era nella nostra vocazione originaria, autofinanziando le nostre iniziative con il concorso di tutti, ampliando l’utilizzo della rete anche come strumento interattivo. Voglio però aggiungere una cosa: una forza politica è viva se è in grado di rinnovarsi continuamente. E’ quello che stiamo facendo, senza rottamazioni che non ci appartengono e di cui non abbiamo bisogno. Forza Italia è nata per portare all’impegno politico persone, ceti e categorie che ne erano sempre rimaste estranee. Oggi questo è più che mai necessario, quando la parte migliore del Paese è delusa e lontana dalla politica, non crede più nell’impegno, è scoraggiata. Per questo alle prossime elezioni, a fianco dei nostri bravi parlamentari, porteremo alle Camere alcuni dei nostri più validi esponenti delle amministrazioni locali, ma soprattutto una quota importante di cittadini che non hanno mai fatto politica. Nei prossimi giorni rivolgerò un appello a quella che viene definita “società civile”: apriamo le nostre liste a chi se la sente di candidarsi, di mettere al servizio della collettività le competenze acquisite nella professione, nell’impresa, nel lavoro, nello studio, nella ricerca. Incontreremo chi si propone, valuteremo il loro curriculum e le loro attitudini e a chi sarà meritevole garantiremo una candidatura in una situazione che consenta di essere eletti in Parlamento. Voglio che almeno un terzo dei nostri candidati e dei nostri eletti per la prossima legislatura siano persone che non hanno mai fatto politica, ma che abbiano dimostrato in altri campi le loro capacità. Non chiederemo loro di prendere tessere, ma solo un impegno d’onore alla coerenza sui valori e sui principi».

Per le prossime elezioni, Strasburgo permettendo, si vede alla guida di Forza Italia o di uno schieramento più ampio di centrodestra?
«Dobbiamo vincere, e per vincere bisogna includere, allargare, coinvolgere. Farò tutto il possibile per realizzare un’alleanza ampia, purché siano chiari i valori e i programmi. Le ammucchiate solo numeriche non servono a nulla e non consentono di far funzionare il Paese».

Si aspetterebbe dal governo una revisione della legge Severino sul principio della non retroattività?
«Sarebbe un elementare principio di civiltà giuridica. La non retroattività delle leggi è il fondamento di ogni sistema giuridico e di ogni stato di diritto. E’ un principio inderogabile come affermano imperativamente l’art. 25 della nostra Costituzione e l’art. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Quello che mi sconcerta è che per eliminare un pericoloso avversario politico, si possa ricorrere, contro ogni principio di civiltà giuridica, all’applicazione retroattiva di una legge». Francesco Bei per La Stampa