Il nazista che voleva salvare gli ebrei. La versione di Hjalmar Schacht

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di Francesco Maria Toscano

Ho appena finito di leggere un bel libro, “La Magia del Danaro”, scritto da Hjalmar Schacht, ministro delle Finanze di Adolf Hitler dal 1934 fino al novembre del 1937, nonché per molti anni a capo della Banca Centrale Tedesca. Quella di Schacht è a suo modo una figura eccezionale, studioso di grandissimo spessore, artefice e promotore di iniziative in grado di rimettere in sesto la sgangherata economia germanica del tempo (basti pensare al successo ottenuto per mezzo delle cambiali “Mefo”), Schacth era secondo alcuni di famiglia ebraica nonché sicuro massone, iniziato presso la loggia Urania zur Unsterblichkeit di Berlino nel 1908 (Arnaud de la Croix, Hitler et la franc-maçonnerie). Tutti sanno come l’infame regime nazista eretto e guidato da Adolf Hitler individuasse proprio negli ebrei e nei massoni i suoi principali bersagli, perseguitati oltremisura e costretti a subire angherie e soprusi di ogni genere che ancora oggi generano corale sdegno nelle coscienze dei giusti e gridano vendetta. La domanda, direbbe Lubrano, a questo punto sorge spontanea: che ci faceva un massone, per giunta forse di famiglia ebraica, al servizio di un sistema formalmente nemico del mondo latomistico e diabolico fino al punto da pianificare ed organizzare la famigerata “soluzione finale”?

Evidentemente, cari amici, la storia è un po’ più complicata di come ce la raccontano i grandi mezzi di informazione. Rinvio ad un successivo articolo l’approfondimento della genesi del nazismo, agevolato da alcune note centrali bancarie che, brave nel gestire gli opposti, finanziano indifferentemente  tanto i “rossi” quanto i “neri” per poi esercitare dietro le quinte un riservato ruolo di “indirizzo” e di “pressione”, diciamo così. Quest’oggi vorrei perlopiù sottoporre all’attenzione dei lettori un passaggio – a mio avviso molto indicativo e importante – contenuto all’interno del libro di Schacht e già oggetto di uno specifico articolo pubblicato il 2 aprile del 2016 sulle pagine del Moralista e titolato “Chaim Weizmann mi impedì di tutelare la vita e la libertà dei tedeschi. Parola di Hjalmar Schacth”Nella sua testimonianza Schacht riferisce di essersi attivato nel 1938 per garantire la sicurezza personale degli ebrei e la tutela dei rispettivi patrimoni. Secondo Schacht il patrimonio degli ebrei residenti in Germania ammontava all’epoca a circa 6 miliardi di marchi, tale somma sarebbe dovuta passare sotto il controllo di un “comitato fiduciario internazionale” costituito con il compito di fornire mezzi economici adeguati a tutti gli ebrei che avessero desiderato lasciare pacificamente la Germania. Una idea certamente brillante che, se applicata, avrebbe potuto salvare milioni di vittime innocenti. Ora, è interessante notare come Schacth attribuisca la colpa del fallimento del progetto non tanto al Fuhrer – a suo dire ben disposto ad assecondare il piano – quanto a tale Chaim Weizmann, capo spirituale della comunità israelitica di Londra che, contattato per il tramite del governatore della banca d’Inghilterra del tempo, Montagu Norman, avrebbe opposto un diniego assoluto e insuperabile senza fornire spiegazioni nel merito.

Si tratta forse dello stesso Chaim Weizmann che guidò l’organizzazione sionista mondiale dal 1920 al 1931 ricoprendo la carica di primo presidente dello Stato d’Israele, o si tratta solo di un caso di omonimia? E’ importante approfondire la credibilità della versione dei fatti offerta da Schacht che, a ben vedere, getta ombre inquietanti meritevoli di essere investigate con animo neutro e senza pregiudizi di sorta. Alla luce della lettura della testimonianza resa per iscritto da uno dei protagonisti indiscussi del terzo reich, assume poi una pregnanza diversa anche la dichiarazione “shock” rilasciata mesi fa dall’attuale presidente dello Stato d’Israele Benyamin Netanyahu, secondo il quale “Hitler non voleva sterminare gli ebrei ma solo espellerli”. Tale affermazione, pronunciata nel corso del congresso mondiale sionista, ha generato un vespaio di polemiche, attirando su “Bibi” da più parti pure l’accusa di fare il gioco dei “negazionisti”. Proprio in questi giorni il Senato italiano ha inasprito la “legge Mancino”, prevedendo una pena fino a sei anni di carcere per coloro i quali dovessero in tutto o in parte veicolare messaggi volti a “negare la Shoah…”. Le parole pronunciate dal presidente israeliano, destinate a mettere in dubbio l’esistenza di una volontà sterminatrice autonoma in capo ad Hitler, potrebbero in teoria contemplare la realizzazione del reato di specie?  La sola ipotesi, a ben pensarci,  assume contorni oltremodo paradossali. Anche per queste ragioni nutro forti dubbi sulla bontà di una iniziativa legislativa unica nel suo genere che anziché fare chiarezza rischia di aumentare la confusione.