Cristianesimo e modernità possono essere conciliati. La lezione di San Tommaso Moro

Sharing is caring!

Hans_Holbein_the_Younger_-_Sir_Thomas_More

di Francesco Maria Toscano

Capire la contemporaneità con i soli strumenti della macroeconomia è semplicemente impossibile. Non si può spiegare in maniera razionale ciò che appare palesemente irrazionale. La furia con la quale le élite europee continuano a distruggere la “società del benessere” costruita con fatica all’indomani della Seconda Guerra Mondiale nasconde finalità differenti, finalità note soltanto ai pochi che hanno la capacità di leggere e tradurre simboli e segni.

Un bel libro scritto da un autore collettivo firmatosi “Epiphanius” – Massonerie e Sette Segrete, edizioni controcorrente – ripercorre in maniera rigorosa tappe ed evoluzione di un progetto antiumano e diabolico che, preparato per tempo, ha oggi raggiunto il suo acme. Epiphanius documenta lo stringente controllo che alcune società occulte esercitano sul globo intero attraverso l’uso spregiudicato di istituzioni sovranazionali a vocazione mondialista, tutte permeate da dottrine fondamentalmente pagane quando non direttamente sataniche. Il limite dell’Autore consiste forse nel generalizzare troppo, inserendo alla meno peggio tutti i protagonisti della storia moderna nello stesso girone infernale. In ogni caso, senza voler dare per adesso un giudizio di merito, è innegabile il primato spirituale ai giorni nostri esercitato urbi et orbi da alcuni riservati sacerdoti che tramandano una “sapienzialità altra”, rimasta per secoli sotterranea sotto il peso del predominio del pensiero cattolico e cristiano guidato dal papato.

Nello sposare una simile prospettiva, però, è concreto il rischio di calarsi involontariamente nei panni  anacronistici e malinconici di ultimi alfieri di un passato reso migliore soltanto dalle brutture del presente. Non si può oggi pensare di rispolverare senza scadere nel ridicolo una idea di legittimazione del potere terreno sulla base dell’interpretazione autentica di un imperscrutabile volere divino, sempre tradotto guarda caso a beneficio dei profani da alcuni interessati “ierofanti”. Il concetto di “sovranità popolare” non può essere archiviato alla voce “feticcio luciferino uscito dal ventre putrido delle logge” senza fare contestualmente ridere i polli. Il Cristo, uno che non parlava certamente a vanvera, insegnava che bisogna “dare a Dio quel che è Dio e a Cesare quel che è di Cesare” (Marco 12, 13-17), mirabile sintesi alla base della laicità delle nostre istituzioni. Il significato più autentico dell’insegnamento evangelico non è quindi in contraddizione permanente con l’esercizio della democrazia, come vorrebbero farci credere alcuni “passatisti” fuori dal tempo e dalla storia.

Bisogna semmai capirsi sulla natura vera del Dio dei Vangeli, un Dio d’amore che conosce, valuta e giudica il cuore di ogni singolo uomo; e non un Dio-ordinatore, un Dio-regola, buono solo nel garantire in perpetuo l’incessante divenire delle cose in relazione alla tenuta in equilibrio di un universo appositamente divinizzato che considera l’uomo una semplice parte del tutto. Questo è il punto vero di una disputazione che, altrimenti, rischia di farci scivolare all’interno di un dibattito dominato da una tesi falsa (“il potere viene da Dio”) e una antitesi altrettanto falsa (“il pensiero gnostico libera l’uomo da un dogmatismo religioso che lo tiene in catene”), preludio per il trionfo di una sintesi necessariamente pessima. Lo sforzo nobile di chi volesse inseguire equilibri più avanzati, utili per dare risposte nuove a problemi nuovi, dovrebbe tendere semmai alla armonizzazione di ciò che di buono la modernità offre – a partire dall’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di classe e razza – insieme al recupero di una spiritualità conformata secondo principi di umiltà e carità così come sviluppati dalla Patristica prima e dalla Scolastica poi. Non si tratta di “relativizzare” l’insegnamento della Chiesa cattolica, vissuta da molti alla stregua di semplice società filantropica  che, in condizione di parità con le altre confessioni religiose, contribuisce adesso alla costruzione e alla sedimentazione di una “moralità umana” che accumuna gli uomini di tutte le fedi e credenze. Niente affatto. Il destino della Chiesa di Roma non può e non deve essere quello di annullarsi nel mare “dell’indistinto filosofico”.  Anche perché la sacralità della vita, la centralità e il rispetto per la persona umana fatta ad immagine e somiglianza di Dio, l’idea che la salvezza riguardi tutti e non solo una sparuta minoranza di farisei e presunti sapientoni, rappresentano conquiste della cristianità che meritano di essere ricordate e rivendicate con orgoglio.

In un mondo come quello contemporaneo – dominato da una spiritualità gnostica e pagana – l’uomo è  ridotto a strumento inconsapevole, merce, oggetto di consumo o mero strumento di produzione. In un mondo capace di volgere invece lo sguardo verso un Dio d’amore, un Dio padre – consapevole e misericordioso – alcuni drammi contemporanei non troverebbero di certo diritto di cittadinanza. Nessuna legge positiva può reggere alla lunga se avvertita come intimamente inaccettabile dalla maggioranza delle gente. Per questo la nostra battaglia deve essere in primo luogo spirituale. Conciliare alcune conquiste di civiltà, frutto di una modernità nata in palese rottura con l’ancien regime dominato dal binomio trono-altare, con il recupero e la riscoperta del primato di una visione della vita e dell’uomo genuinamente ispirata dall’insegnamento cristiano è possibile e auspicabile. D’altronde San Tommaso Moro, nell’invocare Dio, non chiedeva forse di ottenere il “discernimento per capire quali cose vadano conservate e quali invece mutate; ma, soprattutto, di saper distinguere le une dalle altre?”