Esteri. Guerra in Libia, Italia base o bersaglio?

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di Roberta Barone

Alfano teme ripercussioni in Italia per via della nostra partecipazione nella guerra in Libia. “Tutte le analisi investigative e di intelligence hanno stabilito un nesso tra la ‘politica punitiva’ messa in atto dall’Isis con gli attentati di Parigi e la partecipazione della Francia ad azioni militari”, dice il Ministro degli Interni, pur non escludendo l’impegno italiano nell’intervento in Libia. Secondo lo stesso però, lasciare la situazione così come è non rende “il quadro meno preoccupante”. Dunque cosa fare? La politica italiana è davvero convinta di limitare l’esposizione dell’Italia ai rischi derivanti da possibili attentati terroristici, limitando le autorizzazioni per i raid verso la Libia volta per volta? Più che una misura di prevenzione sembra un’azione di facciata. Renzi sa bene che, permettendo agli alleati statunitensi di ‘usare’ (si legga nel vero termine della parola) la Sicilia come base di lancio per le operazioni militari verso la Libia, l’Italia- più che una base- diventerà un vero e proprio bersaglio nel mirino dei terroristi dell’Isis. D’altronde parliamo della stesso Paese che, con molta coerenza, da amico della Libia si è subito rivelato nemico, contribuendo a rovesciare il governo di Gheddafi per interessi francesi.

Vi siete mai chiesti perché la notizia dell’accordo segreto tra Italia e Usa (o forse meglio dire tra Renzi e Usa) sia venuta a galla in Italia solo dopo la pubblicazione della stessa da parte del Wall Street Journal? Perché invece l’Italia ha quasi imposto un ‘segreto di Stato’? E perché, considerata dunque la volontà del Governo italiano di dare meno risalto possibile all’accordo, Obama ha comunque dato il via libera alla pubblicazione della notizia dell’inizio delle operazioni militari da Sigonella? E’ evidente che l’Italia cammina con la coda tra le gambe: da un lato si accorda segretamente con gli americani in virtù di trattati bilaterali risalenti agli anni cinquanta (vedi accordo ‘Ombrello’ del 1954); dall’altro cerca di guardarsi intorno imponendo il silenzio, per non attirare attenzione su di sé. E se anche fosse stata questa l’intenzione del Governo italiano, gli Usa avrebbero dovuto rispettare la volontà italiana? Di fronte un Paese sovrano, senza dubbio. Ma allora, forse, non ci saremmo posti nemmeno il problema e non saremmo giunti a questo punto di non ritorno.

E’ vero anche che prima o poi la notizia doveva pur arrivare: i cittadini italiani però ne sono venuti a conoscenza solo per via di un importante giornale americano, mentre le istituzioni italiane si sono limitate solo dopo a darne conferma. Questo, in definitiva, sarebbe accettabile e normale?

La questione controversa però rimane sempre quella: l’Italia sarà esposta al pericolo di futuri attentati terroristici? Dopo il via libera ai droni da Sigonella, l’Isis sarà pronto a colpire anche la Sicilia? Interrogativi che non possiamo sottovalutare. La Sicilia è ormai da anni ritenuta capitale dei droni statunitensi nel Mediterraneo, ma è anche da anni base per 46 antenne Nrtf-8 della marina militare statunitense proprio nel piccolo paesino di Niscemi (Caltanissetta) dove, seppur in presenza di importanti vincoli paesaggistici, è situato il Muos, sistema radar americano per le comunicazioni militari, attualmente sotto sequestro.

Quando il 15 Aprile del 1986 due missili Scud partirono da una base libica per colpire l’isola italiana di Lampedusa, l’obiettivo mancato fu proprio un centro di radionavigazione della Guardia costiera americana che il Governo libico credeva fosse invece un base americana. Il contesto era certamente diverso. Tuttavia, in un suo scritto, Craxi ricorda di essersi indignato del silenzio italiano che seguì al lancio dei missili: “E noi-disse a Spadolini, allora Ministro della Difesa- lo veniamo sapere da una agenzia francese!”. L’Intellettuale Dissidente