Berlusconi azzarda: “Il partito unico potrebbe chiamarsi CDU»

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Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia

Presidente Berlusconi, il partito unico del centrodestra, secondo lei, diverrà realtà prima della fine dell’anno?

«Per la verità nessuno ha mai parlato della fine dell’anno. Come orizzonte temporale realistico ho indicato le elezioni del 2023. Nel frattempo, ovviamente, Forza Italia va avanti — fin dalle prossime amministrative — con il suo simbolo, con le sue bandiere, con le sue liste. I nostri ministri e i nostri parlamentari continuano l’ottimo lavoro che stanno svolgendo. È grazie all’apporto di idee di Forza Italia che il governo sta ottenendo i suoi migliori risultati. Il partito unico non è una “fusione fredda” imposta dall’alto, che si possa realizzare in poche settimane. Anzi, dobbiamo fare il contrario: un grande lavoro che coinvolga i militanti, gli eletti e soprattutto l’opinione pubblica di centrodestra, le categorie, donne e uomini della società civile vicini alle idee, ai valori e ai legittimi interessi che noi rappresentiamo. Solo così, da un grande lavoro sulle idee, sui programmi e sulle regole, può nascere per gradi un’aggregazione nella quale le diverse soggettività siano esaltate, non annullate. Negli Stati Uniti il Partito Repubblicano e quello Democratico ospitano al loro interno sensibilità diverse. Donald Trump ha una cultura e un linguaggio molto diversi dal mio amico George Bush, il presidente Biden esprime una linea molto differente da Bernie Sanders o da Alexandria Ocasio-Cortez».

Le voci che danno lei come possibile presidente e Salvini come segretario indicano una strada percorribile?

«Questo è davvero l’ultimo dei problemi. Significa partire dalla fine del processo e non dall’inizio. Tenga comunque conto che la mia proposta è rivolta sia a Matteo Salvini che a Giorgia Meloni e alle altre forze di centrodestra».

Il Centrodestra italiano è un buon nome?

«Ha il pregio della chiarezza, e il richiamo all’Italia, il Paese che amiamo, mi pare utile. Non mi dispiace neppure Centrodestra Unito, la cui sigla, Cdu, avrebbe il pregio di richiamare quello che per noi è un modello di riferimento, i nostri partner tedeschi nel Partito popolare europeo. Il centro-destra ha bisogno di un forte aggancio ai principi liberali, cristiani, europeisti, garantisti che noi di Forza Italia rappresentiamo. Sono i valori del Ppe, ai quali non rinunceremo mai. Del resto, i partiti espressione del Ppe stanno tornando a vincere in tutt’Europa, proprio ieri in Francia alle regionali, poche settimane fa a Madrid e in Germania, presto accadrà anche in Italia».

Lavorate per togliere problemi al governo Draghi e semplificare il quadro politico. Ma Giorgia Meloni rimane fuori.

«Rispetto anche se non condivido la scelta nei nostri amici di Fratelli d’Italia, che comunque saranno come sempre con noi alle prossime elezioni amministrative. Del resto dall’opposizione spesso manifestano sensibilità simili alle nostre».

Forza Italia sosterrà la campagna referendaria promossa dai radicali, dall’Udc e da Matteo Salvini sulla giustizia?

«La riforma della giustizia è certamente, come quella del fisco e quella della burocrazia, una delle condizioni necessarie per far ripartire il Paese. Per questo stiamo lavorando attivamente in seno al governo con il presidente Draghi e il ministro Cartabia. I referendum, che riprendono temi da noi sempre sostenuti, possono essere un’utile sollecitazione al Governo e Parlamento per la riforma. In questo spirito, il nostro coordinatore Antonio Tajani ha dato indicazione agli azzurri di partecipare alla raccolta di firme».

Mercoledì scade il provvedimento sul blocco dei licenziamenti. Lei è favorevole a una proroga?

«Ovviamente non si può rischiare di lasciare da un giorno all’altro per strada migliaia di lavoratori e di famiglie. Ma non si poteva neppure pensare di risolvere il problema disoccupazione solo con il rinvio indiscriminato del blocco dei licenziamenti. Credo che la «cabina di regia» abbia adottato una soluzione equilibrata. Ora serve una vera strategia per l’occupazione e per la tutela dei lavoratori: da un lato lo stanziamento di risorse per un rafforzato sistema di ammortizzatori sociali, per la formazione, per la digitalizzazione, dall’altro ridare al sistema delle imprese la possibilità di tornare a fare utili e quindi a conservare ed anzi allargare l’occupazione. Questo si ottiene con la riforma fiscale che noi abbiamo proposto, che taglia in modo importante le aliquote e lascia più risorse a famiglie e imprese, di conseguenza fa ripartire consumi e investimenti e con essi l’occupazione».

Capitolo amministrative: il candidato di Milano alla fine sarà un civico o un politico?

«Lo dico da elettore milanese, questo è un falso problema. Quello che conta è che il futuro sindaco sia competente, preparato, onesto. Che abbia una visione del futuro della città. Che sappia ridare a Milano la spinta innovativa e propulsiva che la città ha conosciuto con le giunte di centrodestra, Albertini e Moratti, culminata con l’assegnazione a Milano dell’Expo. Milano non si governa tagliando nastri, disegnando sull’asfalto piste ciclabili inutili e pericolose, dimenticandosi le periferie».

Ha sentito la conferenza stampa di Conte? Guardandoli dall’esterno chi ha ragione secondo lei nel braccio di ferro fra lui e Grillo?

«L’ho seguita attraverso le agenzie. Sinceramente non è mio costume commentare le vicende interne di altre forze politiche. Voglio però aggiungere una considerazione: la crisi dei Cinque Stelle non dipende dalle singole figure, è la conseguenza del loro “vizio d’origine”. Sono una forza politica nata per dare sfogo a un sentimento di malcontento diffuso che hanno usato come trampolino per prendere il potere. Non avendo né un vero progetto né dei valori unificanti era ovvio che chiamati alla prova dell’agire implodessero. Ora guardo con rispetto al loro travaglio, sperando che non crei difficoltà all’esecutivo e che — per il bene della democrazia — trovino un loro ruolo e una loro identità, ovviamente lontanissima dalla nostra». Tommaso Labate per Corriere della Sera