Paternò soffre già da tempo di una malattia molto grave, che è “l’antimafia degli amici”. Di ieri la notizia secondo cui alcuni balordi avrebbero appiccato il fuoco dolosamente alle terre di un paternese salito alla ribalta delle cronache perché altri balordi avrebbero mozzato la testa alle sue pecore, l’anno scorso. Teste di pecora che nessuno ha mai visto.
Questo signore è stato descritto come un martire, come un simbolo della legalità. E l’amministrazione comunale retta dal sindaco Mauro Mangano ha sguazzato dentro questi episodi organizzando conferenze stampa, incontri, riunioni e chissà cos’altro. Oggi arriva un comunicato stampa ufficiale dell’amministrazione comunale paternese, che esprime solidarietà incondizionata a quello stesso paternese, che ha accusato nella giornata di ieri degli anonimi che gli avrebbero bruciato il terreno in contrada Sciddicuni.
È possibile che solo in pochissimi notino una distorsione della realtà incredibile intorno a questa vicenda, oltre che alla esagerazione istituzionale costruita tutta a ridosso di questi fatti inerenti sempre e solo una persona? Conosco personalmente alcuni amici che negli anni passati hanno subito atti di intimidazione molto simili a quel che leggiamo oggi. Nessun sindaco s’è degnato non di diramare un comunicato, ma nemmeno di chiamare al telefono per esprimere vicinanza se non altro personale. Cos’è questo esibizionismo legalitario nei confronti di uno che, in tempi non sospetti, ringraziò chi aveva sposato la sua “battaglia per la legalità” chiamandoli “compagni”?
La città è piena di imprenditori in crisi nei confronti dei quali nessun sindaco ha espresso alcuna solidarietà, né personale né istituzionale. Smettiamola con questa ipocrisia da quattro soldi e concentriamoci sulla vera mafia, quella che colpisce tutti e senza distinzioni.
Andrea Di Bella, direttore editoriale