L’intervista a Paolo Guarnaccia, candidato paternese alle europee

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Green Italia-Verdi europei: dalle nostre parti, la causa ambientalista è stata sposata dall’allora assessore regionale ai beni culturali, Fabio Granata.

E’ stato lui, nella circoscrizione Sicilia-Sardegna, a lanciare la sfida per le prossime europee. Ma c’è, anzitutto, da abbattere la soglia del quorum. Dopodichè si vedrà. Ed in lista c’è anche il catanese Paolo Guarnaccia docente di agricoltura biologica all’Università etnea.

Guarnaccia, perché la discesa in campo?

“Il motivo è semplice: mi sono appassionato a questa formazione politica, Green Italia – Verdi europei, che ha al centro la Sostenibilità e della Green Economy. E non è roba da poco”.

Certamente. Immagino, però, che non sarà semplicissimo fare passare alcuni messaggi: le vostre idee potrebbero apparire come “troppo radicali”.

“Noi agiamo in un contesto generale dove la crisi finanziaria, energetica, e sociale è frutto di uno stile di vita e di un modo di intendere la politica, sbagliato. Green Italia si pone di fare diventare questi temi non solo enunciazione ma pratica quotidiana. Adottare principi e valori che consentono di adottare sul territorio una politica che crei sviluppo e posti di lavoro dignitosi e duraturi in un’ottica di rafforzamento delle filiere agroalimentari: di fruizione dei beni culturali e di nuove tecnologie che possano produrre nuove economie. E’ questo il modo di uscire dalla crisi e creare un nuovo modello capace di dare dignità alla Sicilia: dobbiamo dare visibilità a livello mondiale alla nostra terra creando innovazione ma anche attraverso la riscoperta delle nostre radici e della nostra identità culturale”.

Tuttavia, c’è un dato politico, al momento, che dice che saranno pochissimi ad andare a votare.

“Personalmente, dico che non votare significherebbe rassegnarsi a questo stato di cose. Inutile lamentarsi se poi si rinuncia ad essere rappresentati nel mondo delle istituzioni. L’impegno di tutti dev’essere rivolto a portare all’interno delle istituzioni battaglie come la difesa del territorio, del paesaggio, della salute, della lotta all’inquinamento, di città più vivibili”.

Sono argomenti triti e ritriti. Come intendete far passare questo “modello” alla gente?

“Possiamo riuscirci solo se ognuno di noi riesce a rendersi conto che il contesto è quello di una crisi generalizzata e che a maggior ragione esiste nella nostra Sicilia perché la Sicilia non è riuscita a diventare culla della tradizione e del bello”.

Siamo lontani da questa prospettiva, al momento.

“Certamente, pensi soltanto all’abusivismo accanto ai templi, ai giudici ammazzati dalla criminalità organizzata, ai rifiuti abbandonati per strada: sono contraddizioni che caratterizzano la nostra Sicilia, che devono farci capire quanto siamo caduti in basso ma anche quante risorse abbiamo”.

Veniamo ai programmi: su cosa puntate?

“Sicilia biologica, Sicilia rifiuti zero, Sicilia senza inquinamento: tutto questo non rappresenta degli slogan ma anche posti di lavoro. La mia impressione si richiama ad una frase di Einstein che temeva il giorno in cui l’umanità fosse stata superata dalla tecnologia: quel giorno -diceva – il mondo sarà popolato da una generazione di idioti. Ebbene, quando importiamo il 70% dei prodotti che la Sicilia consuma e poi abbiamo 600 mila ettari di terra abbandonata: allora, mi viene da dire che quel momento è già arrivato. Utilizziamo il petrolio per produrre le energie, inquinando e creando ferite come quelle di Milazzo, Gela e Priolo: quando avremmo il sole per procurarci l’energia”.

 

C’è, però, anche un drammatico problema legato alle infrastrutture.

“Abbiamo una quantità di turisti che sono meno di quelli che visitano Malta. La politica allora dov’è stata? Quella politica che dovrebbe creare sviluppo, dov’è stata? A curare gli interessi privati anziché il bene comune? Ecco perché Green Italia: saremo noi a portare queste istanze in Europa. Non abbiamo depuratori, i centri storici sono invivibili: si fanno Piani ma non si rispetta la pianificazione. Non può continuare a questo modo”.

 

Torno alle infrastrutture: il Ponte sullo Stretto?

“Siamo assolutamente contrari. E non per una questione ideologica ma perché esistono priorità come scuole, ospedali, adeguamenti anti-sismici, tutela del rischio idro-geologico. E, poi, oggi, il turismo non si muove più su gomma anche se sarebbe più logico sistemare le strade anziché fare arricchire i soliti noti con la costruzione del Ponte. Occorrono Ponti culturali, semmai: dobbiamo essere noi la porta dell’Europa. La Sardegna cosa dovrebbe fare, allora, senza ponte? Oggi occorre uno sforzo di relazione con gli altri popoli e se c’è qualcuno che pensa che il ponte possa avere riscontri positivi per l’economia, dico che oggi è, invece, necessario creare una filiera corta dove viene lasciato spazio solo ai prodotti d’eccellenza come olio e vino. E’ questa la strada dello sviluppo”.

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