Perché non ha senso pentirsi di essere stati Charlie

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di Valerio Musumeci

Poniamo un caso che speriamo non si realizzi mai, ma utile a costruire un esempio sul perché sia stata di estremo cattivo gusto la vicenda delle vignette di Charlie Hebdo, che ieri ha catalizzato l’attenzione italiana facendo dimenticare il fertility day, il referendum e forse lo stesso terremoto: se Marine Le Pen, leader dei nazionalisti francesi, venisse disgraziatamente raggiunta e violentata da un oppositore politico, e un autore italiano il giorno dopo disegnasse una vignetta nella quale ella si trova impalata sulla Tour Eiffel – magari con il fumetto “Il nazionalismo fa male” – ci troveremmo di fronte a un episodio di satira magari anche riuscita, ma per il nostro modo di vedere le cose assolutamente inaccettabile. Il disegno avrebbe sì raccontato e analizzato un fatto accaduto – il fatto che il capo di un partito politico abbia ricevuto una violenza fisica a causa delle sue idee – ma lo avrebbe fatto senza tenere in conto la sensibilità e i sentimenti della vittima, che ne avrebbe ben donde, una volta riavutasi, per denunciare il coglione autore del disegno e il direttore che lo avesse fatto pubblicare.

Il caso delle vignette sul terremoto – due: una seconda, di risposta alle citriche trasversali degli italiani e alle scuse dell’Ambasciata di Francia, è stata pubblicata nel pomeriggio e mostra un ferito che in mezzo alle macerie ricorda a tutti come le case fragili le abbia costruite la mafia, mica Charlie Hebdo – il caso delle vignette, dunque, riporta una volta di più l’attenzione su quale limite debba avere la libertà d’espressione e di satira nei paesi così civili da permetterla: perché altrove, lo si ricorderà, simili cose non possono accadere pena reazioni inconsulte e se non giustificabili – ricordate il pugno di Papa Francesco? – almeno comprensibili, e altrettanto comprensibilmente da condannare. Quo usque tandem abutere? Il problema è vecchio come il cucco, la soluzione è quel senso del cattivo gusto che abbiamo posto in esempio: ciascuno deve capire dove finirla.

La soluzione è complicata da un dato storico: Charlie Hebdo è stata l’anno scorso la vittima di un attentato che aprì la stagione del terrorismo internazionale come problema cogente del mondo occidentale negli anni diemiladieci. Il motto adottato dal mondo per solidarizzare con la redazione del giornale e con la Francia tutta contro quell’infame atto di violenza, lo sappiamo, fu “Je suis Charlie”. Nulla di più naturale che oggi, dopo che la vignetta sul terremoto del Centro Italia è esplosa sul web, sia iniziato il rinnegamento di quella solidarietà: bel modo hanno avuto i francesi, si dice giustamente, di ricambiare il nostro cordoglio e la nostra amicizia. Nessuna di queste considerazioni tiene però conto di un fatto banale, e cioè che quella manifestazione contro il terrorismo – giusta, sacrosanta, dovuta – avesse come rovescio della medaglia l’affermazione del diritto dei vignettisti a continuare nel loro lavoro, ed era già ai tempi un lavoro di cattivo gusto estremo, assolutamente inaccettabile – qualcuno ricorda la Santissima Trinità alle prese con un “trenino” erotico? No? Smemorati!

I leader di tutto il mondo “libero”, i milioni di utenti di internet dei cinque continenti e i leader religiosi “per bene” – l’unico a mettere un po’ di buonsenso fu appunto il Santo Padre, che venne linciato per questo – marciarono e scrissero e predicarono per ribadire che Charlie Hebdo dovesse avere l’assoluta libertà di pubblicare qualsiasi cosa, fosse anche volgare, gratuita ed eccesiva. Come volgare, gratuita ed eccessiva è stata la vignetta sul terremoto: italiani paragonati cretinamente ai loro piatti tipici senza alcuna considerazione per il dolore dei vivi e per il rispetto che si deve ai morti. Eppure glielo abbiamo detto noi, ai vignettisti, che potevano disegnare queste cose. Siamo noi gli autori di quella vignetta, in effetti, nelle persone di Matteo Renzi che marciò a Parigi e di tutti coloro che misero “Je suis …” nell’immagine di copertina di Facebook. E non ha alcun senso pentirsi ora.

La dura verità è che viviamo in un mondo superficiale, pronto a cogliere qualsiasi suggestione senza aver la pazienza per approfondirne cause e conseguenze. Sarebbe bastato ascoltare le parole del papa, invece di dire cretinate su una sua presunta violenza, oppure semplicemente non lanciarsi in una campagna senza sapere nel merito di che cosa si trattasse. Perché noi sappiamo oggi cosa è Charlie Hebdo: avremmo dovuto saperlo prima, per non fare la parte degli smemorati, dei superficiali e delle banderuole. Perciò adesso da bravi accogliamo le scuse dell’Ambasciata, contiamo quanti “mi piace” hanno ricevuto i nostri post di Facebook sull’argomento e torniamo a farci i fatti nostri, nell’attesa che il prossimo fatto di una qualche rilevanza ci obblighi a cambiare posizione rispetto a quella di partenza. Che è cosa  nobile, se fatta con criterio: giustamente si è detto che soltanto gli stupidi non cambiano idea. Ma cambiarla troppo facilmente, senza nemmeno la giustificazione immorale di farlo per interesse, è altrettanto da stupidi e offre il destro alle repliche di Charlie, agli editoriali colti sulla satira, alle prese di posizione di Salvini, alle chiacchiere da bar che tanto piacciono a tutti noi. Diciamo le cose come stanno, e non prendiamoci in giro da soli dopo che lo hanno già fatto i francesi. E’ stato cattivo gusto, su questo non ci piove: ma è stato autorizzato, avallato e auspicato da tutti noi. Je ne suis pas cohérence.