L’eguaglianza a tutti costi diventa dittatura

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di Giuliano Guzzo

Alla base di non pochi equivoci e di alcune discriminazioni, oggi, c’è il principio di eguaglianza. Un paradosso, si dirà: com’è possibile che un valore tanto importante e solennemente scolpito, fra l’altro, ai vertici degli ordinamenti giuridici si presti a divenire occasione di discriminazione? L’eguaglianza non è forse l’esatta negazione della differenza? In effetti è così. Il punto è che il principio di eguaglianza – diversamente da quanto tanti pensano – non nega affatto l’esistenza delle differenze, anzi, a partire da queste e fermo restando il principio di pari dignità fra persone, impone trattamenti eguali per situazioni equivalenti e trattamenti differenziati per situazioni differenti. L’equo ed uguale trattamento, cioè, non si sostanzia riservando a tutti lo stesso bensì dando a ciascuno il suo. Viceversa, una comunità che trattasse tutti indistintamente – dall’onesto cittadino al ladro, dal meritevole al pigro – non solo non onorerebbe il principio di uguaglianza, ma finirebbe clamorosamente per tradirlo.

L’aspetto curioso, anche sotto il profilo storico, è che laddove l’eguaglianza, da principio pur importante quale indiscutibilmente è, è divenuta ossessione egualitaria da perseguire ad ogni costo, ha condotto ad esiti disastrosi, non di rado criminali. Pensiamo a quanto accadde sotto Pol Pot (1925-1998), quando tutti furono costretti a vestire nello stesso, avvilente modo – casacca nera a maniche lunghe abbottonata fino al collo – e non mancarono episodi di autentica follia come l’omicidio delle persone con gli occhiali, occhiali che, testimoniando una presumibile capacità di lettura non comune a tutti, erano ritenuti contrari all’eguaglianza assoluta. Qualcuno obbietterà che l’esperienza cambogiana – così come quella sovietica ed altre – non fa testo, essendo stata una tragica e sanguinaria eccezione. In realtà, anche contesti storici a prima vista meno tragici o addirittura guardati con favore da molti sono stati teatro, sempre in nome dell’eguaglianza, di eventi gravissimi.

Si prenda l’osannata Rivoluzione Francese. Anche trascurando il ricorso alla ghigliottina e alla violenza – nel solo 1794 e nella sola area parigina sarebbero state eliminate fra le 10 e le 15.000 persone – si possono ricordare le idee di Jacques-René Hébert (1757 –1794), che alla Convenzione propose di abbattere tutti i campanili di Francia dal momento che, svettando con la loro altezza, minacciavano il principio di eguaglianza, oppure l’istituzione di un costo massimo per i prodotti della campagna, che almeno in teoria avrebbe dovuto consentire a tutti di sopravvivere decentemente arrestando l’aumento dei prezzi nella Capitale mentre invece, alla faccia di quell’égalité non così semplice da realizzarsi, da un lato azzerò il mercato alimentare e, dall’altro – ricorda Vittorio Messori – diede impulso al “mercato nero”, con gli agricoltori che imboscavano quanto avevano e lo cedevano solo a chi pagasse prezzi altissimi, proporzionati al rischio di pena di morte che si correva.

Senza dimenticare che non di rado s’individuano “testimonial” improbabili dell’eguaglianza e tolleranza. Come, per stare in Francia, il citatissimo Voltaire (1694 –1778), da molti considerato guru della tolleranza, il quale non solo non è l’autore della più nota frase attribuitagli – «Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo», frase che dobbiamo alla scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall (1868 – 1956) -, ma non si può neppure ritenere un campione della tolleranza giacché, oltre che favorevole allo schiavismo (investì in azioni di compagnie che si occupavano di compravendita di schiavi), aveva un’idea non esattamente esemplare degli uomini di colore: «L’uomo nero è un animale che ha lana sulla testa, cammina su due zampe, è quasi tanto pratico quanto una scimmia, è meno forte che gli altri animali della sua taglia, possiede un poco più di idee ed è dotato di maggior facilità di espressione» (Trattato di Metafisica, 1978, p. 63).

Insomma la storia, per quanto può, ci mette in guardia dall’incauta esaltazione di miti egualitari. Allo stesso modo il presente, in aggiunta agli equivoci riportati all’inizio secondo cui l’eguaglianza si esplicherebbe in un trattamento uniforme per tutti, ci presenta amari paradossi rispetto ad una pari dignità e ad un pari trattamento che sono solo sulla bocca di tutti ma che, senza necessariamente scomodare l’esempio dei Paesi più poveri, sono quotidianamente calpestati. Dalle donne licenziate perché madri ai bambini abortiti perché non sani e corrispondenti agli standard dei più, dagli anziani a rischio eutanasia ai disabili ancora oggi penalizzati in tanti ambiti della vita di tutti i giorni, c’è ancora parecchio da fare per dichiarare l’eguaglianza realizzata. Anche se il fatto di vivere in democrazia, da questo punto di vista, tende a tranquillizzarci. Ci fa sentire piacevolmente evoluti, senza più grandi conquiste da compiere. Peccato che si tratti solo di un’illusione.