22 anni fa come oggi la “discesa in campo” di Berlusconi

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Un'immagine di Silvio Berlusconi nel Gennaio del 1994, 22 anni fa.

Un’immagine di Silvio Berlusconi nel Gennaio del 1994, 22 anni fa.

di Mattia Feltri per La Stampa

Il giorno prima di rivoluzionare la prassi della comunicazione politica, Silvio Berlusconi telefonò al direttore del Tg2, Paolo Garimberti. Ricostruzione fedele del dialogo (dalla Stampa di allora, Massimo Gramellini): «Quanti minuti dura, dottor Berlusconi?». «Mah, francamente non lo so. Sto ancora facendo le prove. Saranno otto minuti, dieci al massimo». «Dieci? Ma il tg della sera dura appena mezz’ora.

E poi, con tutto il rispetto, dottore, se ho dato due minuti al Papa… Lei mi mandi la cassetta e io ne trasmetto una sintesi». «Non si disturbi, dottor Garimberti: se vuole la sintesi gliela posso preparare io». «Non è il caso, dottor Berlusconi. Alla sintesi ci pensiamo noi. Capisce: vorrei fare un servizio più articolato». «Mi rendo conto ma… Mi toglie una curiosità?». «Prego». «Ma soltanto il Capo dello Stato ha diritto alla trasmissione integrale del discorso?». «E a reti unificate, per giunta. Quando al Quirinale ci andrà lei…». «Il problema è che questo è il mio esordio in politica e quindi voglio fare un discorso di programma. Ecco il motivo per cui non ho convocato i giornalisti: non voglio essere distratto né interrotto nell’esposizione del mio pensiero…».

Era il 25 gennaio del 1994. All’indomani il fondatore di Forza Italia avrebbe recapitato ai telegiornali la videocassetta da nove minuti e venticinque secondi con la quale («L’Italia è il paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti…») annunciava la «discesa in campo», come disse in scandalizzante gergo calcistico. Berlusconi era rimasto chiuso ad Arcore per l’intera giornata a perfezionare il testo, studiare la scenografia e calibrare le luci insieme con Antonio Tajani e Gianni Pilo. Un bell’ufo anche quest’ultimo, l’uomo dei sondaggi che in organigramma è registrato alla voce «esperto di marketing politico». Dice robe del genere: «Cercheremo di indagare i flussi in libera uscita». Le infiltrazioni in politica di termini commercial-ganassa dividono il mondo in chi sghignazza e chi grida al sacrilegio. Si ironizza molto sul sistema di spiegare il presente, prevedere il futuro e aggiustare i messaggi attraverso le indagini demoscopiche. Il mezzo è inconsueto al punto che il Corriere della Sera commissiona a Swg un sondaggio sulla credibilità dei sondaggi. Berlusconi non se ne cura. La prove vanno avanti fino alle tre del mattino. Alla fine si sceglie la prima di numerose registrazioni. Il 26, Berlusconi si sveglia alle 7, fa ginnastica, passeggiata nel parco, altra occhiata al video, pranzo con risotto e verdure bollite, pisolino pomeridiano.

Fuori da lì è tutto sottosopra. Il direttore del Tg1, Demetrio Volcic, dice di aver chiesto a Berlusconi la disponibilità a un dibattito, ma niente. A lui interessa soltanto la cassetta. «Le regole devono valere per tutti», dice Andrea Giubilo, direttore del Tg3. La Repubblica scrive che, se avesse qualcosa da dire, Berlusconi accetterebbe un’intervista collettiva con «Indro Montanelli e Claudio Rinaldi». Furio Colombo ricorda che «Ross Perot è sceso in campagna così». Michele Santoro lo invita a «Il rosso e il nero» e sentite un po’ Berlusconi: «Dibattiti e risse tv non mi interessano. Voglio parlare alla gente, voglio parlare di problemi». Vi ricorda qualcuno? Se non ci siete arrivati, ecco un secondo indizio: «Eh no, non chiamatemi onorevole. Non farò il politico come gli altri. Anzi, abolirei quella tradizione spagnolesca che attribuisce il titolo di onorevole». Forse Beppe Grillo non sa di avere tanti punti in comune col Berlusconi degli inizi. Di sicuro non lo sa Barack Obama. In campagna elettorale i giornalisti lo seguivano e ricevevano delle gran pacche sulle spalle, ma le domande non erano ammesse: nel pomeriggio sarebbe arrivato il video con tutto ciò che il candidato alla Casa Bianca aveva da dire.

Il primo a trasmettere il vhs, in quel 26 gennaio, è naturalmente Emilio Fede e naturalmente l’integrale. Berlusconi è magro ed è ancora in possesso della faccia originaria. Ha l’uniforme della vita futura: camicia celeste, cravatta a pois, doppiopetto scuro. È tutto studiato e oggi non fa più impressione, ma allora si allibiva. Adesso la camicia bianca dei giovani leader scravattati è una divisa, né più né meno. Certi slogan come «I care» sono la versione finta chic (più all’americano a Roma) di Forza Italia, nome che faceva un gran ridere e pure arrabbiare, perché l’incitazione calcistica doveva essere di proprietà pubblica. Insomma, le luci sono seppiate, una calza da donna Dior sul teleobiettivo ammorbidisce il quadro: un trucco attribuito dai giornali a Nicolae Ceausescu; alle spalle dell’oratore c’è una libreria di legno chiaro con volumi disordinati, come fossero consultati spesso, e fra i volumi foto di famiglia in cornici d’argento; sulla scrivania un tagliacarte di dimensioni minacciose, soprammobili, improbabili calamai. Sembra il salottino di rappresentanza di Aiazzone, scrive la Stampa.

Quello che non si vede è interessante: la moglie Veronica e la figlia Eleonora assistono dietro alla telecamera, fra i collaboratori, e a fianco di Berlusconi ci sono calcinacci e strumenti da muratore perché si registra in una zona marginale della villa di Macherio, dove i lavori sono in corso. Non è vero che c’è il gobbo perché Berlusconi consulta spesso gli appunti che tiene nelle mani. Il termine più speso è libertà, sette volte, e cinque i derivati liberale, liberismo e liberaldemocratico; poi sei volte Italia, cinque volte Paese, cinque volte «scendere in campo». Parla di valori, di impresa, di speranza, di serenità, di modernità, di dignità, di famiglia. E di comunisti. Sta ancora dalla parte dei magistrati. Per Eugenio Scalfari è un «clown» col volto ricoperto «di biacca e di cerone». Sul Corriere si legge un sarcastico «Uela, sun chi mi». «Nessuna parola difficile, poche subordinate, molti slogan, spruzzi di retorica, frasi fatte», scrive Curzio Maltese sulla Stampa. Giuliano Ferrara ha una battuta che apre il sipario sui due decenni a venire: il suo linguaggio casomai risulterà «sgradito nella cintura intellettuale di Capalbio, dove Occhetto ha la residenza di campagna». Alla lunga gli avversari di Berlusconi adegueranno la sintassi e il lessico a quello banalotto ma diretto ed efficace del capo di Forza Italia, che a sua volta qualcosa ha imparato (e ripulito) dal vocabolario di Umberto Bossi. E quanto agli slogan, a sinistra sono diventati prolifici a causa del moltiplicarsi di correnti, fondazioni, primarie, competizioni elettorali.

Quella sera, indossata la tuta blu, Berlusconi segue i tg da Macherio. Poi sente al telefono Gianni Letta, la mamma, la zia suora. L’indomani è deluso: «I telegiornali della Fininvest sono il vero servizio pubblico. La Rai ha infilato commenti negativi, i commenti dei soliti: è una tv a disposizione dei soliti». Poi legge i commenti. Sul Corriere, Angelo Panebianco prevede che Silvio Berlusconi diventerà «il Nemico assoluto, il Male fatto uomo, la cui presenza era in fondo necessaria per condurre alla fine in porto quell’operazione, per tanti versi incredibile, di Norimberga alla rovescia». Berlusconi è dunque «un grossissimo regalo fatto al cartello delle sinistre». E’ un «Bau Bau» perfetto che «se non fosse esistito, Occhetto se lo sarebbe dovuto inventare».