Sicilia. Intervista ad Ottavio Cappellani: “La cultura del potere? Una minchiata”

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Ottavio Cappellani, scrittore

Politica e cultura. Sul rapporto tra questi due ambiti dell’esistenza umana la discussione storica è sempre aperta. Anche quella contemporanea, e anche in Sicilia, ove il terremoto politico permanente di Palazzo dei Normanni non può farci dimenticare come una gestione scellerata del nostro immenso patrimonio, culturale e turistico, abbia contribuito alle tristi sorti della nostra regione. Ne abbiamo parlato con Ottavio Cappellani, giornalista e scrittore, osservatore attento e pungente delle vicende “culturali” siciliane. Sul suo blog per La Sicilia ha scritto: «Fino a quando il kitsch resta nell’ambito personale non dà fastidio a nessuno. E’ quando diventa “pubblico” che fa, insieme, ridere e strapparsi i capelli» – di VALERIO MUSUMECI

Hai descritto i diversi livelli per cui la gestione della cultura, in Sicilia ma anche in Italia, scade spesso nel ridicolo. Perché succede questo? Ed esistono prospettive perché ci sia una gestione culturale meno kitsch?
Mi sembra ovvio perché succede. Perché le nomine politiche hanno poco a che vedere con la cultura. E anche quando si nominano ai posti di potere persone con un trascorso più o meno culturale, bene, queste persone hanno fatto carriera nell’ambito della cultura grazie alla politica. E’ proprio il connubio politica-cultura che è nefasto. La politica cerca il consenso, la cultura la conoscenza. La politica cerca la vittoria, la cultura la comprensione. La cultura sa che la strada per cercare di migliorare qualcosa è lunga è difficile. La politica non può dirlo. La politica spaccia minchiate per genialate. E’ questo il suo compito.

Determinati specchietti per le allodole, come le nomine degli assessori vip Battiato e Zichichi nel primo governo Crocetta, sono ascrivibili allo stesso atteggiamento?
Non credo che Battiato e Zichichi siano stati messi in grado di fare quello che credevano opportuno. In ogni caso è proprio la prospettiva a essere sbagliata. Il Potere (credo sia più opportuno parlare di Potere più che di Politica) tende a volere mettere gli uomini di cultura al proprio servizio, non a mettersi al servizio degli uomini di cultura.

Che responsabilità ha la Regione nei confronti della gestione della cultura a livello cittadino?
La responsabilità che gli viene dal potere di spesa e dalla gestione del denaro pubblico. Non certo quella di un’autorità in materia. Io ho sempre trovato balzana quest’idea che lo Stato debba occuparsi di cultura. Si occupi di istruzione, che è una cosa diversa dalla cultura.

Che differenze ci sono tra la prima sindacatura Bianco e quella corrente? E’ cambiato l’approccio alle politiche culturali o i sindaci e gli assessori devono fare i conti con un “mercato” diverso, con un concetto distorto di cultura che fa tendenza?
Ma perché Enzo Bianco, uno che ha lavorato in banca, deve occuparsi di cultura? Ma è ovvio che se la cultura viene messa in mano a incompetenti diventa contorta. Anche questa strana idea che i professori universitari siano uomini di cultura è aberrante. I professori universitari sono uomini di “istruzione”. Oramai le parole si usano senza fare riferimento al loro significato. E’ tutto un delirio, un fraintendimento.

Quanto conta in questo processo il linguaggio? Mi riferisco al celebre “Lungomare liberato” che non era prigioniero di nessuno, e all’altrettanto buffo “Castello liberato”, in riferimento al Castello Ursino.
Certo, il linguaggio è importantissimo. Ma il Potere tenta sempre di piegare il linguaggio ai propri fini. Evitare questo sbandamento del linguaggio è compito della cultura: proprio per questo cultura e potere non c’azzeccano niente l’una con l’altro.

Sei andato a vedere la mostra di Picasso? E a che cosa credi sia dovuto il suo successo (dichiarato dal Comune), ad autentico interesse per il pittore o a un certo atteggiarsi dei catanesi?
Ma anche le Cinquanta Sfumature di Grigio hanno avuto successo. Ma che è ‘sta cosa che bisogna giudicare il valore culturale di qualcosa dal “successo”. La cultura è ben altra cosa. Il valore della cultura si misura dalla capacità di influire sul mondo. In questa mostra quadri non ce n’erano: c’erano le tazzine, le insalatiere, non so, non l’ho vista, c’erano gli oggetti d’arredamento, era una specie di lista-nozze. Per questo a Catania è andata bene.

Perché la politica ha bisogno di pescare nell’ambito culturale per legittimare se stessa?
Non lo fa per legittimare se stessa, ma per delegittimare la cultura. Per inflazionarla. Dato che il potere sa che la cultura, quella vera, non potrà mai mettersi al suo servizio, allora si inventa una “cultura parallela”, quella “promossa” dal Potere. Una ciofeca.

Ti sei scagliato contro il concetto di “turismo culturale” in Sicilia, proponendo di ripartire dal “turismo turismo”, dalle bellezze paesaggistiche piuttosto che dalle ambizioni intellettuali che sanno di provincialismo. E’ così logico che viene da chiedersi: perché non lo fanno?
Non lo fanno per due motivi. Il primo è che l’Etna e il mare, non fanno “notizia”. Se un giorno la classe politica siciliana si svegliasse dicendo: venite in Sicilia perché abbiamo l’Etna e il mare non verrebbero presi in considerazione dai media, che vogliono “notizie”, “news”, novità, cose “inedite”. Da qui parte la caccia alla minchiata col botto, la minchiata mai sentita, la superminchiata, la sperimentazione di motivazioni turistiche che non hanno nulla a che vedere col turismo. Ti faccio un esempio: il bibliobus, l’autobus biblioteca che se ne va in giro per la città con i libri, anche in lingua straniera. Bene: se un turista prende in prestito un libro da questo bibliobus, che essendo un autobus per sua stessa essenza si muove, poi, dove minchia va a restituirlo? Insomma: la minchiata fa parte della strategia di comunicazione. Se dici una minchiata trovi qualcuno che ti dà spazio: un quotidiano, un blog. Se dici invece cose sensate nessuno ti ascolta. Se vuoi che ti diano spazio “gratis” sui media devi sparare minchiate. Il secondo motivo, che secondo me è quello più importante, è che se si insistesse a dire cose ovvie e di buon senso, magari “spendendo” in una pubblicità seria e costruttiva (e quindi senza affidarsi alla minchiata che porta rassegna stampa gratuita, come ho spiegato qui sopra), il risultato, forse, sarebbe quello di portare davvero più turisti. E questo farebbe arricchire tutta una classe imprenditoriale che non è politica: il settore alberghiero e tutto l’indotto. Mentre una regola aurea della politica siciliana è quella di coltivare la povertà e il bisogno per fare tenere in vita tutto il sistema clientelare di cui si nutre in maniera vampirica o cannibalesca. La minchiata fa bene alla politica perché gli dà visibilità gratuita e non fa arricchire nessuno. Che è appunto quello che la politica vuole. Anzi, io sostituirei il termine “politico” al quale vorrei continuare a dare un significato nobile, con il termine di potere. Il potere vuole prendere gratuitamente e non dare nulla. Questo è il motivo di questa specie di delirio turistico nel quale siamo immersi.

Il testo di questa intervista è tratto dal libro di Valerio Musumeci “Cornutissima semmai”, in uscita in autunno per Circolo Proudhon.

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