“Mai premier senza elezioni”. Il governo Renzi inizia da una bugia – di Andrea Di Bella

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Lo aveva promesso in diverse trasmissioni televisive. Lo aveva detto a chiare lettere che mai e poi mai avrebbe voluto prendere il posto di Enrico Letta, mentre quest’ultimo non faceva altro che provocarlo per farlo venire allo scoperto. Poi l’accordo extraparlamentare con il “pregiudicato” Berlusconi, l’accordo sulle grandi riforme tra Pd e Forza Italia e la conferenza stampa dal Nazareno, la sede dei democratici. Il giorno dopo Enrico Letta va da Lilly Gruber su La7 e spara: “Metteremo mano anche al conflitto d’interesse. Lo proporremo ai partiti che compongono la maggioranza”. Cioè: ci accordiamo anche contro Berlusconi, lo stesso che con Renzi aveva creato il giorno prima una maggioranza alternativa a quella di governo sulle grandi riforme costituzionali, architravi del nuovo esecutivo. Nulla di più sbagliato per Renzi, che si sarebbe ritrovato contro Berlusconi nel giro di qualche ora, com’è stato.

A quel punto il pensiero dell’ormai ex sindaco di Firenze è stato il seguente: se resto segretario del primo partito della coalizione di governo, senza però poter influenzare come voglio l’esecutivo, rischio di restare stritolato da politiche economiche che non condivido, ma che gli elettori mi rimprovereranno quando sarò candidato premier, nel dopo-Letta. Tanto vale, quindi, che prenda io stesso la presidenza del Consiglio, formando un nuovo governo e assumendomi personalmente tutti i rischi, avendo così almeno la responsabilità di ciò che succede o no. E così è stato. Enrico Letta è stato sfiduciato non dal Parlamento, ma dalla direzione nazionale del Partito Democratico. Il presidente della Repubblica ha interpretato a modo suo le regole scritte nella Costituzione, stirandole a suo piacimento e avviando delle consultazioni che di fatto sono diventate un gioco a tu per tu con Renzi, col quale ha di fatto scelto uno ad uno i ministri del suo governo, in taluni casi defenestrando gli sgraditi. La fiducia nei giorni scorsi al Senato, e poi alla Camera, dove Beppe Civati, giovane dirigente del Pd con al suo fianco circa una decina di parlamentari, s’è alzato in piedi offrendo al Paese e al mondo la spaccatura profonda che la decisione di silurare un compagno di partito (Letta) ha comportato proprio dentro il movimento. Senza Civati (che ha votato comunque la fiducia) il governo avrebbe la maggioranza solo grazie ai senatori a vita.

Andrea Di Bella

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