Silvio Berlusconi, simbolo dell’Italia sognante

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di Giuliano Guzzo

Se gli anni ’80 sono stati quelli della Milano da bere, quelli che hanno avuto per protagonista Silvio Berlusconi – che pure di quel decennio fu simbolo imprenditoriale e televisivo – sono stati quelli dell’Italia sognante, quella del «Paese che amo», della «discesa in campo», del «mi consenta», del «nuovo miracolo italiano», del «milione di nuovi posti di lavoro» e del «rialzati Italia!», appunto. Tutte espressioni delle quali non importa, ora, quanto vi fosse di vero e quanto di solo suggestivo, per il semplice fatto che contenevano già la cosa più preziosa: una storia.

Prima delle sue tv, del Milan dei record, di Forza Italia e tutto il resto, il Cavaliere aveva infatti incarnato una narrazione, uno storytelling in cui entrava tutta quanta la penisola: dalla più elitaria a quella più misera. Il suo segreto era proprio questo: in Silvio Berlusconi c’era qualcosa, almeno qualcosa, di ogni italiano; e in ogni italiano c’era qualcosa, almeno qualcosa, di Silvio Berlusconi. Impossibile, dunque, restar indifferenti a colui che ci ha lasciati oggi, trascinandosi dietro di tutto: dagli spezzoni di Drive In a quelli di Bim bum bam, dai gol di Marco van Basten ai cinepanettoni.

È come se la televisione delle nostre esistenze, oggi, fosse saltata ricordandoci la cosa più ovvia e amara al tempo stesso: siamo di passaggio. Tutti. Ma se questo è vero – e indubitabilmente lo è – viene spontaneo chiedersi quale sia, adesso, il modo migliore per affacciarsi al domani facendo memoria di ciò che il Cavaliere è stato. Le possibili risposte sono parecchie. Ognuno avrà la sua. Ma forse la più vera è la più semplice: ricordandoci l’immagine stessa di Berlusconi, di quel suo volto perennemente radioso fino a farsi quasi maschera eppure in grado, così, di testimoniare una grande verità: sorridendo viene tutto un po’ meglio