Trump nomina Amy Barrett. Una lezione per il mondo

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di Giuliano Guzzo

«Libertà di coscienza». «I temi etici sono divisivi». «Su quello decidano le donne». «L’autodeterminazione non si tocca». «Non torniamo al Medioevo». La gran parte dei politici italiani ed europei, quando si tratta di questioni antropologiche, sa purtroppo solo farfugliare queste banalità, frasette che non significano nulla ma che suonano tanto bene e, soprattutto, evitano il rischio di finire sotto il tiro dei mass media apparendo fondamentalisti. Un rischio che il politico più potente del mondo, l’inquilino della Casa Bianca, evidentemente non conosce, di cui non si cura.

Diversamente non si spiegherebbe come mai Donald Trump, oltretutto a fine mandato e quando poteva risparmiarsi un passaggio che non si sa bene che consensi possa assicurargli, abbia scelto di nominare alla Corte Suprema Amy Coney Barrett. Già, perché la Barrett è sì una giurista di spessore, è sì una donna in carriera (come piace alla cultura dominante), e sì giovane (neanche 50 anni), ma ha almeno due enormi difetti: è madre di tanti figli (sette, di cui due adottati) ma, soprattutto, è cattolica e coerente. Vive cioè fino in fondo i suoi valori e le frasette demenziali di cui sopra, ecco, non le interessano.

Dunque in piena campagna elettorale per la riconferma, quando ogni mossa può pesare sui sondaggi – che tra l’altro lo danno già ben indietro -, il biondo e lampadato Trump ha nominato alla Corte Suprema una giudice che non solo è d’ideali politicamente scorrettissimi, ma è pure pupilla di Antonin Scalia, l’indimenticabile giudice anch’egli presso quella Corte che, per decenni, ha firmato più opinioni di minoranza che di maggioranza, tanto era preoccupato d’accodarsi al gregge. Significa che la Barrett non farà sconti e che la Corte suprema, che con lei raggiunge una netta maggioranza conservatrice, potrà letteralmente riscrivere la storia. Thank you, Donald.