Suicidio assistito di Davide Trentini, assolti Cappato e Mina Welby

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Il suicidio assistito irrompe di nuovo al centro del dibattito politico italiano. Ancora una volta per un processo. Durante quello in corso a Massa per la morte di Davide Trentini, avvenuta in una clinica in Svizzera il 13 aprile 2017, Mina Welby e Marco Cappato sono stati assolti dall’accusa di istigazione e aiuto al suicidio per la morte di Davide Trentini perché “il fatto non sussiste”. Il verdetto è stato pronunciato dalla Corte di assise di Massa dopo una breve camera di consiglio.

I pubblico ministero Marco Mansi aveva chiesto la condanna di Cappato e Welby, anche se nella sua requisitoria aveva detto che i due “sono meritevoli di alcune attenuanti che in coscienza non mi sento di dover negare. Chiedo la condanna ma con tutte le attenuanti generiche e ai minimi di legge. Il reato di aiuto al suicidio sussiste, ma credo ai loro nobili intenti”. La pena richiesta era tre anni e quattro mesi di reclusione.

Cinquantatreenne di Massa, Trentini era malato da trenta anni di sclerosi multipla. Decise di porre fine alle proprie sofferenze rivolgendosi a una clinica svizzera. Mina Welby, vedova di Piergiorgio Welby, il militante radicale che nel 2006 aveva ottenuto l’eutanasia passiva (da altri considerata la fine dell’accanimento terapeutico), aiuto Trentini a completare tutti i documenti necessari e lo accompagnò fisicamente, mentre Marco Cappato lo sostenne economicamente, raccogliendo i soldi che gli mancavano attraverso l’associazione Soccorso Civile di cui fanno parte entrambi. Il giorno dopo il decesso di Davide, Welby e Cappato, copresidente e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, si presentarono presso la stazione dei carabinieri di Massa per autodenunciarsi. “Attendiamo la sentenza con rispetto, qualunque sia l’esito, ma rifarei esattamente quello che ho fatto per aiutare Davide a morire senza soffrire”, ha detto Cappato in aula.

La difesa di Cappato e Welby ha affermato che l’ultima consulenza dimostra che Trentini era sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, anche se non era attaccato ad una macchina come dj Fabo. Ma per l’accusa questa tesi “non è supportata da documentazione esaustiva, ma basata per lo più su colloqui avvenuti tra la madre di Davide Trentini e il perito, il dottor Riccio”. Il pm pertanto ha chiesto ai giudici o una nuova consulenza d’ufficio, o l’acquisizione di nuove testimonianze, ovvero quella degli operatori Avi che, secondo la perizia, avrebbero insegnato alla madre di Trentini le operazioni meccaniche di evacuazione corporea, considerate dalla difesa trattamenti di sostegno vitale, e quella dei due infermieri che accompagnarono Trentini in Svizzera in ambulanza. IlGiornale