COME DON ABBONDIO

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di Roberta Barone

Ricordate, dalla lettura de “I promessi sposi”, l’espressione disorientata e spiazzata del giovane Renzo dinnanzi le parole di Don Abbondio?

“Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”

“Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”

Error, conditio, votum, cognatio, crimen, 

Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, 

Si sis affinis,…” 

cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.

“Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine.

Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?” (I Promessi Sposi, cap. II)

Siamo nell’Italia del 1628, in piena occupazione spagnola. Manzoni, instaurando un forte parallelismo tra quel periodo e la contemporanea occupazione austriaca del Nord Italia, offre al lettore due chiavi di lettura in merito al ruolo giocato dalla lingua latina nella società cui fa riferimento: una quella del potere e degli oppressori, l’altra quella dell’umiltà e degli oppressi. Ma è proprio da quella piccola scena, la stessa che segue la minaccia da parte dei “bravi” nei confronti del poco coraggioso Don Abbondio, che dobbiamo partire per meglio comprendere ed attualizzare il fenomeno del “latinorum”.

Una sequela di parole sconosciute e convulse attanagliano il giovane, analfabeta ma di certo non stupido, puzzandogli di un latino che non gli appartiene. Non il latino del “Pater noster es in coelis” o quello storpiato dai detti comuni secondo i propri livelli cognitivi (a tal proposito si spiega bene Gian Luigi Beccaria in “Sicuterat”), ma un latino losco quanto le intenzioni di chi lo sta parlando. Don Abbondio, per meglio liquidare la spontanea e legittima curiosità di Renzo sulla storia degli impedimenti, utilizza una lingua di per sé corretta ma sconosciuta al suo interlocutore: lo prende in giro, si mostra colto pur di farlo sentire piccolo piccolo, comunica con l’intenzione di non comunicare. Una strategia che spiazza, a primo impatto, un giovane che fino ad allora non conosceva altro latino se non quello imparato a memoria nelle formule rituali, quello “buono”.

Ma cosa significa tutto ciò? Qual è il collegamento tra quel “latinorum” ed il linguaggio dell’odierna politica? Provate a sostituire Don Abbondio con un centro di potere politico che da anni governa questo paese mostrando forte sudditanza al potere finanziario; poi indossate i panni di un povero Renzo che vuol soltanto chiedere un proprio diritto, come tutti gli “altri”. Quante pagine di romanzo occorrono per arrivare a comprendere che dietro ogni Don Abbondio c’è sempre un Don Rodrigo da cui ogni volere dipende? Un innominato che non puoi conoscere, un potere implicito che nulla fa ma tutto controlla?

Funziona così oggi, soprattutto in Italia. Cosa succede quando il diritto di un contadino viene calpestato da quello di una multinazionale? Quello di un imprenditore dagli interessi dello Stato e o quello del cittadino dal potere di una potenza straniera? Succede che Don Abbondio continua a tradire la tonaca che porta, promettendo ai due giovani promessi sposi ciò che egli stesso sa di non poter mantenere per volere di un potere oscuro ben più forte e minaccioso.

Ma oggi il linguaggio politico si avvale di sistemi ben più sofisticati per riuscire ad influenzare il più possibile l’opinione pubblica. Lo scopo, come scrive Marcello Foa su Il Giornale, è quello di “creare un frame, ovvero una cornice mentale attraverso la quale ognuno di noi forma un giudizio su un determinato fatto“, plasmando le menti fino a colpire il subconscio collettivo. A tal proposito, non meno importante risulta l’emozione correlata al linguaggio, fattore che inevitabilmente produce un accordo emotivo teso a distorcere la percezione della realtà così da modellarla a proprio piacimento. Lo Spin doctor (dall’inglese [top] spin, nel gioco del tennis «colpo a effetto» e doctor, «esperto») risulta una figura professionale indispensabile nel guidare e curare la presentazione dell’immagine politica al pubblico: dalla  gesticolazione al linguaggio, dalle apparizioni in tv alla manipolazione di certe informazioni al fine di creare una omogenea interpretazione dei fatti nella società ed ottenere largo consenso per le occasioni elettorali. Si ricorda, a riguardo, come Ivy Lee diede origine alle moderne tecniche di spin inventando e diffondendo notizie false, ben costruite, al fine di proteggere il magnate John D. Rockefeller dall’accusa di omicidio nel 1914.

Interloquire senza comunicare, ed ecco che si ritorna al “latinorum” del Don Abbondio anche quando si parla della comunicazione politica in Internet: come ci spiega la scrittrice Monia Benini nel libro “Nella rete – Luci ed ombre del media che ha invaso le nostre vite”, una nuova forma di politica emozionale ha inevitabilmente portato ad una sorta di delegittimazione della politica che avrebbe fatto venir meno la fedeltà ad un partito e rafforzato invece “l’individualizzazione della partecipazione politica”. Cosicché se un leader di un partito dovesse esprimere un pensiero su un argomento delicato, questo susciterebbe certamente maggiori consensi (o reazioni) di un semplice comunicato stampa a nome del partito da questi rappresentato.

È così che ci hanno introdotto nell’Euro quando l’ex Presidente del consiglio Romano Prodi se ne uscì con la dichiarazione secondo cui “con l’Euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più“. Ma è anche così che migliaia di morti e suicidi in nome di una “crisi” sempre più pesante nei confronti dei più poveri, finisce per essere ridotta ad una semplice parola giustificatrice quale quella della “flessibilità”.

L’esempio del latinorum usato da Don Abbondio per aggirare il povero Renzo non vuol solamente ricordare in che modo oggi il politico di turno – come le frasi “colte” ma indecifrabili di un Nichi Vendola – tende ad apparire per sminuire il suo elettore, ma altresì attualizzare una strategia che il grande Manzoni aveva profondamente compreso e che oggi si ripresenta, forse sotto aspetti, contesti e personaggi diversi, ma pur sempre dietro l’immagine del politico che abbraccia i bambini per rubar loro le caramelle.