Marina Abramović, se una carriera vale tre figli

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di Giuliano Guzzo

Dopo aver letto le parole dell’artista Marina Abramović, la quale ha abortito ben tre volte per la carriera e rivendica, fiera, quelle decisioni («Un figlio sarebbe stato un disastro per la mia carriera»), il mio pensiero è stato di profonda tristezza non solo per la signora, il suo delirio e quei tre bambini mai nati, ma per il fatto che simili uscite trovino eco sui media. In altri tempi – non necessariamente idilliaci, ma senz’altro meno folli – una simile farneticazione avrebbe difatti allarmato gli psichiatri, oggi invece attira giornalisti, il che la dice lunga sul capovolgimento valoriale di cui siamo testimoni.

Come se portare a termine una gravidanza fosse per forza incompatibile con la carriera di un’artista donna (ditelo a Céline Dion: tre bambini, oltre 220 milioni di dischi venduti); come se scegliere di non avere figli – decisione già avvilente a mio avviso, anche da parte maschile – fosse la stessa cosa di impedire a dei figli che già ci sono di venire al mondo; come se la gioia di un figlio, figurarsi di tre, fosse monetizzabile. Che dire? Povera Abramović, la quale però, nella stessa intervista, ha detto anche una cosa giusta: «A 70 anni bisogna ridurre le cazzate». Già che c’è, potrebbe iniziare lei, che sull’argomento pare oggettivamente molto ferrata.