Le liste d’attesa sanitarie in Italia una vergogna nazionale. Serve di più

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di Andrea Di Bella

Le recenti rivelazioni di Federconsumatori sulle liste di attesa nella sanità pubblica italiana hanno sollevato un polverone di polemiche e indignazione. Un report allarmante ha mostrato che i tempi di attesa per un ecodoppler cardiaco possono superare i 700 giorni, una situazione inaccettabile che rappresenta un grave fallimento del sistema sanitario nazionale. Questo dato, che da solo basterebbe a far tremare qualsiasi governo, è solo la punta dell’iceberg di un problema ben più vasto e radicato.

La sanità italiana, un tempo orgoglio nazionale, è ormai diventata il simbolo di una gestione inefficiente e di una burocrazia soffocante che mette a rischio la vita dei cittadini. Le liste di attesa non sono solo un inconveniente: sono una condanna a morte per chi non può permettersi di rivolgersi al settore privato. E mentre i pazienti aspettano mesi, se non anni, per esami e trattamenti cruciali, la risposta del governo si è finora limitata a soluzioni tampone, insufficienti a risolvere una crisi che richiede interventi drastici e strutturali.

Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha recentemente dichiarato “guerra” alle liste di attesa, annunciando l’apertura di un tavolo di lavoro per un Piano Nazionale che dovrebbe affrontare il problema. Ma le sue parole, per quanto benintenzionate, suonano vuote di fronte alla gravità della situazione. La verità è che anni di cattiva programmazione e di tagli indiscriminati hanno lasciato la sanità pubblica in uno stato di collasso. Il Piano Nazionale proposto dal Ministro, che include misure come l’aumento delle tariffe orarie per il personale medico e il rifinanziamento dei piani operativi, è un primo passo, ma non basta. Servono interventi radicali e una revisione completa del sistema sanitario.

L’emergenza COVID-19 ha solo esacerbato una situazione già critica. Durante la pandemia, le strutture sanitarie hanno dovuto concentrare tutte le risorse sulla gestione dell’emergenza, posticipando visite e trattamenti per altre patologie. Ora, a fine emergenza, ci troviamo con un accumulo di prestazioni rimandate che hanno fatto esplodere le liste di attesa. La lentezza con cui si stanno riprendendo i ritmi normali di erogazione delle cure è preoccupante e inaccettabile.

Le dichiarazioni del ministro Schillaci sulla necessità di “promuovere il principio di appropriatezza nelle prescrizioni mediche” e di creare un sistema di monitoraggio annuale delle agende delle strutture sanitarie suonano come un déjà-vu di promesse già fatte e mai mantenute. L’Italia ha bisogno di molto più di semplici parole. È necessaria una rivoluzione nella gestione delle risorse sanitarie, un cambio di passo radicale che metta al centro la salute dei cittadini e non le logiche burocratiche e di risparmio.

L’opposizione, rappresentata dall’on. Gilda Sportiello del Movimento Cinque Stelle, ha criticato le misure proposte dall’Esecutivo di Centrodestra come insufficienti e poco concrete. La realtà è sotto gli occhi di tutti: tempi di attesa che arrivano fino a 390 giorni per una mammografia, un esame fondamentale per la diagnosi precoce del tumore al seno. Questi numeri non sono solo statistiche, sono storie di vite sospese, di famiglie che vivono nell’angoscia di un’attesa interminabile.

Il sistema CUP, che dovrebbe facilitare la prenotazione degli esami, è un altro esempio di inefficienza cronica. Il monitoraggio delle agende sanitarie, collegato ai CUP regionali per ottenere dati tempestivi, è una misura che avrebbe dovuto essere implementata anni fa. E invece, ci troviamo ancora a parlare di progetti e piani, mentre i cittadini continuano a soffrire le conseguenze di una gestione fallimentare.

Federconsumatori e altre associazioni come Cittadinanzattiva hanno lanciato l’allarme già da tempo, chiedendo interventi rapidi ed efficaci. Ma la risposta delle istituzioni è stata lenta e insufficiente. È ora di smettere di trattare la sanità come un settore da cui tagliare risorse per far quadrare i bilanci e iniziare a considerarla per quello che è: un pilastro fondamentale del nostro Stato sociale.

Non si tratta solo di aumentare i fondi, ma di spenderli meglio. L’incapacità di molte regioni di utilizzare efficacemente i fondi sanitari è un problema che deve essere affrontato con urgenza. La sanità è ingolfata da anni di cattiva gestione e di soluzioni tampone. Ora serve una strategia chiara, una visione a lungo termine che preveda non solo l’incremento delle risorse, ma anche una loro distribuzione equa e una gestione oculata.

La legge n. 213 del 2023, che prevede un rifinanziamento dei piani operativi per l’abbattimento delle liste di attesa, è un passo nella giusta direzione. Ma non basta stanziare fondi: bisogna assicurarsi che questi vengano effettivamente utilizzati per migliorare i servizi. Il monitoraggio e la trasparenza nell’uso delle risorse devono diventare priorità assolute.

Inoltre, è essenziale potenziare gli organici delle strutture sanitarie. La carenza di personale è una delle cause principali delle lunghe liste di attesa. L’incremento delle tariffe orarie per le prestazioni aggiuntive del personale medico e sanitario è una misura necessaria, ma deve essere accompagnata da un piano di assunzioni che riporti gli organici a livelli adeguati. Senza un numero sufficiente di medici, infermieri e tecnici, qualsiasi piano di riduzione delle liste di attesa è destinato a fallire.

È fondamentale anche rivedere il contributo dei medici di famiglia. La loro integrazione nelle case di comunità, come proposto dal ministro Schillaci, potrebbe rappresentare un’importante risorsa per alleggerire il carico degli ospedali e migliorare l’accesso alle cure. Tuttavia, questa riforma deve essere attuata con attenzione, garantendo che i medici di famiglia non siano sovraccaricati e possano effettivamente svolgere il loro ruolo di prima linea nella prevenzione e nella cura delle malattie.

La crisi delle liste di attesa è un problema che colpisce tutto il paese, ma le disparità regionali sono evidenti. Le differenze nell’accesso alle cure tra Nord e Sud sono inaccettabili in un sistema sanitario nazionale che dovrebbe garantire uguali diritti a tutti i cittadini. È necessaria una riorganizzazione del sistema che miri a ridurre queste disuguaglianze, assicurando che tutte le regioni possano offrire servizi sanitari di qualità.

Il coinvolgimento delle strutture private nella gestione delle liste di attesa potrebbe essere una soluzione a breve termine, ma non deve diventare la norma. Il ricorso al privato deve essere regolato in modo da non compromettere la sostenibilità del sistema pubblico. Le convenzioni con le strutture private devono essere trasparenti e orientate al beneficio dei pazienti, non a quello delle aziende sanitarie.

La salute dei cittadini deve tornare al centro delle politiche sanitarie. È necessario un cambio di paradigma che consideri la sanità non come un costo, ma come un investimento. Un investimento che non solo migliora la qualità della vita, ma che può generare risparmi a lungo termine riducendo le spese per la gestione delle patologie croniche e delle complicanze dovute a diagnosi tardive.

In soldoni: il report di Federconsumatori è un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Le liste di attesa nella sanità pubblica italiana sono una vergogna nazionale e richiedono interventi urgenti e coraggiosi. Le misure proposte dal ministro Schillaci sono un inizio, ma serve molto di più. Serve una rivoluzione nella gestione delle risorse sanitarie, una visione a lungo termine e un impegno concreto per garantire a tutti i cittadini il diritto a cure tempestive e di qualità.