Dopo un weekend sulle barricate, adesso Silvio Berlusconi è di nuovo a un bivio: proseguire in modalità “No tax day”, contendendo alla Lega l’egemonia dell’area d’opposizione. Oppure abbassare i toni e tornare a sedere al tavolo del Nazareno, provando a riallacciare il filo del dialogo con il premier, ammesso sia ancora possibile? Ne parla Salvatore Dama su Libero. Ieri, parlando davanti alla direzione del Partito democratico, Matteo Renzi è stato molto perentorio. E ha chiesto al Pd di accogliere la linea della fretta. Silvio, proponendo di rimandare le riforme a dopo l’elezione del nuovo Capo dello Stato, prende tempo? Bene, il segretario dem accelera: Italicum subito. E con chi ci sta. Una posizione agevolata anche dal nuovo calendario del Colle: le dimissioni di Napolitano arriveranno solo al termine del semestre europeo di presidenza italiana. Con questo schema sembra decadere la posizione di Forza Italia, non più interlocutore privilegiato. Renzi guarda al terremoto in casa grillina. Tra fuoriusciti ed espulsi, la componente del Movimento 5 Stelle avvicinabile diventa sempre più importante, numericamente. Il limite è che naviga in balìa delle onde. Gli eretici non hanno un leader e non hanno una strategia. Sono cani sciolti.
La questione, più che algebrica, è politica. Con il patto del Nazareno e con i voti di Forza Italia, Renzi era riuscito a rendere la minoranza dem ininfluente. Se salta il patto, la sinistra interna torna determinante e vuole mettere bocca. «Se non c’è più il vincolo con Berlusconi, modifichiamo i contenuti dell’Italicum», dice Gianni Cuperlo, a partire dalle liste bloccate. Il fatto è che il patto era pure il viatico renziano per imporre le sue scelte a destra e sinistra. Non a caso, in replica, Matteo gela l’opposizione interna: «Non è immaginabile che si riapra la discussione sui punti condivisi da Pd, Ncd, Scelta civica, autonomi e, al 90 per cento, anche da Forza Italia». Novanta per cento? Renzi è il solito inguaribile ottimista. Sulle nuove regole di voto, Fi è spaccata a metà. Forzando la mano, l’ex boy scout può pure piegare nuovamente Berlusconi al suo volere. Ma poi il Cav si perde per strada il partito.
Obiettivamente è Berlusconi che siede nella posizione più scomoda. Vuole tenere un piede dentro al Nazareno per essere coinvolto nella scelta del futuro Presidente della Repubblica, sperando che poi questi, insediatosi, esaudisca il suo desiderio di riabilitazione personale e politica. Contemporaneamente vuole sventare il voto anticipato (desiderio inconfessato di Renzi), tenere unito il partito (ma Fitto gli procura quotidiani travasi di bile) e contenere l’avanzata leghista, che galoppa minacciosa nei sondaggi. Tanta roba. Ieri era lunedì. E il lunedì, ad Arcore, è la giornata consacrata agli affari di famiglia. I figli e i manager delle aziende tifano perché il patriarca continui a collaborare con Palazzo Chigi. È un bene per tutti. In Brianza inoltre si guarda con preoccupazione, mista a rabbia, alle mosse di Raffaele Fitto. L’ipotesi che si saldino le minoranze di Pd e Forza Italia, attraverso il dialogo alle cime di rapa tra Fitto e D’Alema, fa sobbalzare il Cavaliere. L’intenzione berlusconiana è quella di riconvocare l’ufficio di presidenza del partito per giovedì. Con lo scopo di ricevere un mandato pieno dall’esecutivo azzurro: «Fitto non ci sta? E io lo caccio…».