Gli bruciano le auto, gli sparano al portone di casa, ricevono proiettili e lettere intimidatorie subiscono aggressioni e insulti per strada. Qualche volta sono costretti a girare sotto scorta. E’ la dura vita degli amministratori locali.
Non sembra, dal salotto delle nostre case, ma c’è una guerra silenziosa che si sta combattendo in Italia, una guerra che vede in prima linea sindaci, assessori, consiglieri comunali, tecnici e funzionari pubblici. Sono l’avamposto dello Stato sul territorio contro una criminalità organizzata che va all’assalto dei municipi.
Uomini e donne spesso soli, in un ripetersi di episodi che riguarda l’intero Paese e che inizia ad interessare oltre il Sud, anche diverse aree del Centro e del Nord. Lo spunto, per trattare in maniera più ampia questo argomento, ce lo fornisce la vigliacca intimidazione al sindaco di Palagonia, Valerio Marletta, al quale, nei giorni scorsi, è stato fatto trovare, sul balcone del suo ufficio, un proiettile inesploso. Secondo le prime ipotesi potrebbe essere stato lanciato dall’esterno ma non si esclude l’ipotesi di una “pista interna” che renderebbe il fatto ancora più inquietante. Non spetta a noi trarre conclusioni affrettate, ma la matrice intimidatoria e criminale è, a nostro avviso, quella più accreditata. Le risposte verranno certamente dalle indagini avviate con scrupolo e celerità dalla locale Compagnia dei Carabinieri con il coordinamento dei magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone.
Detto ciò, per dovere di cronaca, torniamo ai numeri di questa “guerra ignorata” che sono tutti contenuti nella relazione annuale di “Avviso Pubblico” (www.avvisopubblico.it) la rete degli enti locali per la formazione civile contro le mafie. Quello che emerge è un quadro preoccupante. Sono, infatti, 351 gli atti di intimidazione e di minaccia nei confronti di amministratori locali e funzionari pubblici censiti da Avviso Pubblico per l’anno 2013. Un numero impressionante. Una media di 29 intimidazioni al mese. Praticamente un atto ogni giorno. E questi, sono soltanto i fatti di cui si è venuti a conoscenza consultando una molteplicità di fonti di stampa, sia nazionale che locale e che non riguardano come si può pensare soltanto alcune parti del Sud, ma che si sono verificati in 18 regioni, 67 province e 200 comuni italiani.
Rispetto al 2010, anno in cui è stato redatto il primo Rapporto, si registra un aumento del 66% dei casi, che risulta distribuito tra 18 regioni, 67 province e 200 comuni. Il primato nel 2013 va alla Puglia, con 75 casi di minacce e di intimidazioni, seguita dalla Sicilia con 70 casi e dalla Calabria con 68 casi. In aumento anche i casi nelle regioni del Centro Italia, in particolare nel Lazio, e nelle regioni settentrionali, dove si è registrato il 12% dei casi.
La maggior parte dei soggetti colpiti da intimidazioni e minacce sono prevalentemente gli amministratori locali (71% dei casi), in particolare: sindaci, consiglieri comunali e presidenti di consigli comunali, seguiti da funzionari pubblici (17% dei casi), in particolare: responsabili degli uffici tecnici, comandanti e agenti di Polizia municipale, dirigenti del settore rifiuti e sanità. Analizzando i dati e le situazioni, si evince che la maggior parte delle minacce e delle intimidazioni sono dirette (77% dei casi), ossia colpiscono direttamente le persone oggetto del “fastidio” criminale e mafioso e in misura inferiore (23% dei casi), possono essere definite indirette, nel senso che colpiscono non la persona oggetto di intimidazione ma le strutture pubbliche (62% dei casi), mezzi pubblici (27% dei casi) e, nei casi più gravi, anche i parenti e i familiari più stretti.
Non solo amministratori di piccoli comuni. Il fenomeno nello scorso anno ha riguardato anche tre governatori regionali (quello dell’Abruzzo, della Liguria e della Sicilia), la vice Presidente della Giunta regionale calabrese e il vice Presidente dell’Assemblea regionale siciliana. E ancora il Presidente del Consiglio regionale dell’Umbria, quattro Presidenti di Provincia (Lecce, Ravenna, Reggio Calabria, Siracusa) e un vice Presidente provinciale (Crotone). Tutti minacciati, insieme ad alcuni presidenti di commissioni regionali (in Molise e in Sicilia).
Tra le minacce dirette più frequenti ci sono: l’incendio dell’automobile di proprietà (24% dei casi), la lettera con minacce (13% dei casi) – anche via mail o Facebook – la lettera con minacce e proiettili (12%dei casi), l’incendio dell’abitazione o di altre proprietà (5% dei casi), l’uso di esplosivi (4% dei casi, in particolare l’uso di bombe carta, bombe molotov, petardi, ordigni rudimentali e, in alcuni casi, di veri e propri ordigni), lo sparo di colpi di arma da fuoco alle abitazioni e alle auto di proprietà (4% dei casi) e, da ultimo, l’aggressione fisica (3%).
Tra le minacce indirette più frequenti ci sono l’incendio di mezzi pubblici (in particolare: mezzi per raccolta dei rifiuti, auto della Polizia municipale, auto in uso all’amministrazione, scuolabus), di strutture pubbliche (in particolare: scuole, uffici comunali, sedi della Polizia municipale e, persino, un’aula consigliare), l’incendio di discariche di rifiuti e, da ultimo, danni e furti all’interno di uffici pubblici, in particolare comunali.
Molti i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose: dal 1991 – anno in cui fu emanata la legge – al 2013 sono stati emessi 243 decreti di scioglimento. La regione che registra il maggior numero di questo tipo di provvedimenti è la Campania (94 casi), seguita dalla Calabria (73 casi, tra cui quello del Comune di Reggio Calabria nel 2012) e dalla Sicilia (61 casi).
Il primato resta alle regioni del Mezzogiorno dove è stato censito l’80% dei fatti rilevati. E tuttavia c’è un aumento degli episodi nelle regioni del Centro Italia (8,3%del totale) e in particolare nel Lazio, dove si è passati dai 5 casi del 2010 ai 15 casi del 2013. La regione Lazio è salita al sesto posto nazionale per numero di intimidazioni, ma quest’anno in classifica entra anche la Toscana (8 casi), che non era presente nel primo rapporto stilato da “Avviso Pubblico” del 2010.
Nelle regioni del Nord Italia, tra l’altro si registra il 12% del totale dei casi e si segnalano atti di intimidazione e di minaccia in Emilia Romagna (10), in Veneto (9), in Lombardia e Piemonte (entrambe con 8). Tutte regioni estranee al fenomeno prima del 2011. Tanto è vero che proprio al Nord nel corso del 2013 sono state assegnate le scorte ai sindaci di Bologna, Jolanda di Savoia (Fe) e Livorno.
La natura e le cause delle minacce sono diverse. Accanto alle intimidazioni con una probabile origine criminale e mafiosa vi sono anche quelle compiute da persone disperate, che incapaci di scorgere un futuro di speranza, che superi l’attuale crisi economico-finanziaria, sfogano la loro rabbia sui rappresentanti politici a loro più vicini.
Il Rapporto di Avviso Pubblico “Amministratori sotto tiro”, che vi invitiamo a leggere, contiene anche una lunga cronologia degli atti di minaccia e di intimidazione verificatisi nel corso del 2013, un’appendice statistica e un elenco delle vittime innocenti di mafia che nella vita svolgevano l’attività di amministratore pubblico e di impiegato e funzionario della pubblica amministrazione. Al di là delle specifiche motivazioni che si celano dietro ad ogni episodio intimidatorio e alla loro gravità, gli attentati e le minacce agli amministratori locali possono provocare fenomeni involutivi a partire dai messaggi che essi veicolano.
Per prima cosa rendono visibile la presenza di un potere antagonista nel governo dei processi decisionali sul territorio; generano confusione istituzionale che produce disaffezione negli amministratori accompagnata da una forte carica delegittimante; producono un senso di vulnerabilità della comunità; mirano a distruggere i processi di coesione sociale a partire dalla forte carica simbolica che hanno gli obiettivi degli atti intimidatori, si tratti di amministratori o di strutture pubbliche.
Il dato di un numero sempre crescente di Comuni siciliani interessati dal fenomeno, con un andamento di crescita costante, impone qualche riflessione. E’ un indicatore, questo, di una pressione sempre maggiore sulle autonomie locali da parte della criminalità, a dimostrazione che la mafia in qualche modo è avviata al controllo totale del territorio, della sua economia ma è anche attenta ad imporre le proprie regole di produzione della politica. E già accaduto e tutto lascia prevedere che accadrà ancora se non si pone un argine compatto e resistente a quella che possiamo considerare una guerra senza quartiere.
Per questo la domanda apparentemente semplice è: cosa spinge la ‘mafia ad “occupare” Comuni abitati da poche migliaia di persone, e quali i possibili guadagni, le occasioni di arricchimento, di appalti, in municipi con bilanci di poche centinaia di migliaia di euro se non già dissestati o sull’orlo del tracollo? Non bisogna cadere nell’errore di pensare che solo le grandi opere pubbliche, i grandi appalti, possano essere oggetto di interesse criminale. Anche le piccole opere di manutenzione, gli appalti di modesta entità economica sono funzionali non tanto e non solo al lucro, bensì alla necessità di registrare sempre più fortemente una presenza all’eterno delle amministrazioni.
Piccole e grandi occupazioni, dalle grandi opere pubbliche all’appalto della strada vicinale, abbisognano di un controllo ferreo di tutti i centri decisionali politico-amministrativi. Pensate, inoltre, all’infiltrazione nella gestione dei servizi – mense scolastiche trasporti, raccolta rifiuti, ecc. – proprio e soprattutto questi ultimi rivestono particolare importanza in quanto, trattandosi di servizi rivolti ai cittadini, hanno una evidenza “sociale” che offre consenso alle ditte che gestiscono il relativo servizio.
Solo così si può spiegare la circostanza che “sotto tiro” ci sono anche gli amministratori dei Comuni di piccole e medie dimensioni, in alcuni dei quali gli episodi intimidatori si ripetono con cadenza impressionante. Proprio a Palagonia l’ex sindaco Francesco Calanducci fu vittima di una serie impressionante di atti intimidatori, dal taglio degli alberi del suo agrumeto all’incendio della casa di campagna. Dunque, una pratica che si ripete. Non dimentichiamo che la più importante riforma istituzionale del Paese, l’elezione diretta dei Sindaci, ha spostato il baricentro politico dal centro ai territori. C’è da chiedersi cosa è rimasto oggi di quella importante innovazione, considerata la sempre maggiore marginalizzazione degli enti locali, costretti a fare i conti con risorse sempre più esigue e trasferimenti da fame da parte dello Stato e delle regioni. E’ indubbio che nell’attuale declino dei territori, che erode l’autorità dei primi cittadini e rende sempre più problematico il governo virtuoso delle comunità, il ripetersi degli atti di violenza contro gli amministratori locali può produrre risultati ancora più disastrosi in mancanza di reti solide di relazioni istituzionali che possano far sentire i sindaci partecipi di una idea comune di governo, di società, di scelte per lo sviluppo. Se la democrazia è legata alla parola, al dialogo, al confronto libero e schietto fra i membri di una comunità, non corriamo seriamente il rischio di sotterrala questa nostra democrazia nella triste e vile pratica delle minacce e delle intimidazioni. E’ questo il dubbio che sorge quando siamo costretti a registrare fatti inquietanti come l’intimidazione subita dal sindaco di Palagonia Valerio Marletta e le risposte a questi interrogativi, visto che nessuno sembra più avere la bussola della verità, dovrebbero essere tutte ammesse, tutte verificate dal riscontro dei fatti, tutte vagliate dal riscontro sereno della ragione.
Se amministrate un comune diventa così arduo e così pericoloso, sarà sempre più difficile trovare soluzioni concrete, rapide, realizzabili, ai problemi dei cittadini, perché la censura delle idee e dell’operato, unito alle delegittimazione delle persone non ci consentirà più di distinguere la realtà dalla sua brutta rappresentazione. Il proiettile lanciato dalla piazza o depositato dall’interno per intimorire il sindaco di Palagonia è una sfida ad ogni singolo cittadino libero di questo povero, martoriato Paese. Un atto criminale che ci rende sgomenti e la viltà di chi lo ha perpetrato ci riempie di orrore. Vogliamo sperare che le superiori istituzioni chiamate a difendere onesti e coraggiosi amministratori sappia trarre da questo nuovo oltraggio al buon senso, l’amara lezione che essa comporta per trovare una soluzione a questo angosciante problema, e siano in grado di elevarsi al di sopra di quelle “dispute di partito”, “manovre di corridoio” e “giostre verbali” verso cui comincia montare la nausea degli italiani. Il loro compito, a difesa dei rappresentanti degli enti locali, è difficile ma il fallimento sarebbe catastrofico perché dimostrerebbe il disfacimento della democrazia la quale, prima ancora di essere un sistema di governo è un galateo di regole e un manuale di correttezza.
Salvo Reitano per www.siciliajournal.it