Ancora una volta c’è solo l’ombra di Matteo Messina Denaro, ma l’ultimo blitz che nella notte fra il 18 e il 19 aprile ha portato a 21 arresti, compresi i due cognati del superlatitante, smantella uno dei più stretti cerchi magici del clan e rivela dettagli agghiaccianti sulla crudeltà dei suoi componenti. Parlando della primula di Cosa Nostra come l’erede di un altro boss definito «Padre Pio» e riferendosi all’ormai scomparso Totò Riina, uno dei ventuno fermati da polizia, carabinieri e Dia, Vittorio Signorello, giustifica addirittura il sequestro e la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo: «Ha fatto bene… allora ha sciolto a quello nell’acido… non ha fatto bene?». E il suo interlocutore, Giovanni Giuseppe Li Gambi, un imprenditore che ha preferito essere condannato per favoreggiamento pur di non denunciare il pagamento del pizzo: «Se la stirpe è quella… suo padre perché ha cantato?». Riferimento esplicito a Santino Di Matteo, il padre “pentito” della vittima innocente. Con Signorello pronto a giustificare: «Giusto… ha rovinato mezza Palermo quello… è pentito… va bene, a posto».
Riina e il piccolo Di Matteo
E’ solo un segmento di una complessa operazione coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Palermo per sottrarre ossigeno al boss in fuga, ma dà la misura delle difficoltà in cui l’apparato investigativo si muove dovendo combattere a volte in ambienti dove un impalpabile humus fa dilagare un atteggiamento capace di giustificare perfino la fine di un bimbo prima strangolato da Giovanni Brusca e poi sciolto nell’acido. Sono passati 22 anni da quell’orrore consumato dopo due anni di prigionia, ma il titolare di un’impresa edile come Li Gambi incredibilmente commenta comprensivo con i carnefici: «Il bambino è giusto che non si tocca… però aspetta un minuto… A due giorni lo poteva sciogliere… Settecento giorni sono due anni… Tu (padre) perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio… allora sei tu che non ci tenevi». Con l’accusa di avere fatto da tramite con un faccendiere delle scommesse on line, Carlo Cattaneo, per finanziare la cosca di famiglia nella «loro» Castelvetrano, sono finiti in manette anche Rosario Allegra e Gaspare Como, cognati di Messina Denaro, mariti di Giovanna e Bice, sorelle del latitante.
Il blitz, coordinato dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Claudio Camilleri, Gianluca De Leo, Francesca Dessì, Calogero Ferrara, Carlo Marzella e Alessia Sinatra, ruota su reati destinati ad incidere sulle misure patrimoniali: associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. Forse un modo per provare a convincere qualche fiancheggiatore a collaborare, considerata la fondata ipotesi che il latitante sia ancora in Sicilia, come emerso da un’altra intercettazione effettuata fra i boss di Marsala, con il capofamiglia Nicolò Sfraga loquace: «Iddu si trova in zona».