Catania. L’intervista a Silvana Grasso: “Il mio sangue è l’inchiostro della mia scrittura”

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di Salvo Fallica per www.sicilymag.it

Scrivere è esporsi, gettarsi a capofitto, affrontare un duello all’ultimo sangue con se stessi, prima che con chiunque. Il lettore avverte lo sforzo, il coraggio, l’onestà e premia con la sua lettura lo scrittore che non pretende di raggirarlo come un pupo di pezza». Con queste espressioni intense e piene di passione intellettuale Silvana Grasso definisce l’essenza della sua concezione della scrittura. Grasso è una delle scrittrici più importanti del panorama nazionale italiano, molto apprezzata anche all’estero. Non a caso fra poco, riceverà un nuovo premio ad Amsterdam, e il 24 maggio all’università di Utrecht, una delle più prestigiose d’Europa, vi saranno una serie di dibattiti-seminari dedicati alla sua intera produzione narrativa. Alcuni autorevoli studiosi europei e statunitensi di letteratura si confronteranno sulla scrittrice Silvana Grasso e le sue opere. L’autrice che non nasconde la sua gioia intellettuale, da donna “forte e fragilissima” sarà presente a tutti gli eventi.

Il nostro dialogo si snoda come un iter storico-esistenziale della vita intellettuale dell’autrice. E giunge sino al suo nuovo romanzo, Solo se c’è la luna (edito da Marsilio). Un romanzo di alta qualità cultural-letteraria e di successo di pubblico (è già alla terza edizione). La fenomenologia interpretativa del caso letterario Grasso ci porta a ritroso nel tempo ed al prestigioso Giulio Einaudi che capì subito l’originalità della sua scrittura. Ma prima riprendiamo il colloquio dall’incipit, dalla concezione della letteratura ed il rapporto letteratura e vita.
«Il foglio resterebbe bianco senza la vita che ne è il reagente, il concime, il fertilizzante. Ma è la letteratura a operare il ‘miracolo’ della conversione della vita in convulsione, emozione, esasperazione, tentazione, perfezione o perdizione. La ‘vita’, non colta fotograficamente, quello conduce a un diario, ma metaforicamente, vertiginosamente, poeticamente, drammaticamente. Per ottenere questo è fondamentale il carattere di chi scrive, il suo temperamento nell’affrontare le vicende dell’esistere che, se nella palude della vita, a volte travolgono, distruggono, infangano, nella scrittura sublimano, incantano, potenziano. Comunque il ‘miracolo’ lo compie sempre e solo il timoniere, cioè lo scrittore. Se ha natura pavida, se teme il giudizio dei lettori, faccia volontariato, di cui c’è tanto bisogno, ma non scriva. Il lettore avverte i freni, il limite, la forzatura, e ne è infastidito».

Giulio Einaudi colse sin da subito la sua originalità narrativa, ed espresse più volte nel tempo una notevole stima intellettuale nei suoi confronti. Come nacque e si sviluppò il suo dialogo con uno dei più grandi editori del Novecento europeo?
«Giulio Einaudi era ed è il ‘Mito‘. Uomo senza bavaglio, senza mezze misure, senza ipocrisie. Un ‘grande‘ tra nani. Amò immensamente la mia scrittura e non ne fece mistero. In tutto il mondo dove veniva intervistato, lui trovava sempre il modo di parlare del vulcano Grasso. Mi stimò moltissimo anche come persona perché, a differenza di tutti gli altri scrittori che ne erano in soggezione e si comportavano da sudditi, io lo ammiravo, ma non ero affatto in soggezione, e perché mai? Lui era divertito da questo talento siciliano, dai capelli colore della lava, che non mostrava affatto soggezione, ma anzi era audace, volitiva, battagliera, vulcanica, tempestosa, teatrale. Mi porto ancora, come medaglia sul cuore del mio talento, la sua immensa stima, della quale molti untori, rosi dall’invidia, non mi hanno perdonato mai. Cercando, dopo la sua morte, ovunque e con mezzi scellerati, di delegittimarmi, mostruosi untori che nulla hanno potuto perché il mio talento li ha fatti fuori in questi 20 anni, mentre io sono vivissima nella stima di critici serissimi, nell’amore dei miei lettori, per cui il mio ultimo romanzoSolo se c’è la Luna‘ è già un bestseller, alla terza edizione e alla vigilia del tascabile».

Einaudi era un fine scopritore di talenti…
«Giulio Einaudi fiutava il talento come un cane molecolare fiuta la pista di un ricercato. Ben 5 romanzi ho pubblicato nel Supercorallo Einaudi, oggi tascabili nei Maxi Marsilio e tra poco ebook. Quasi subito fui tradotta in molti paesi del Mondo e oggi, dopo 20 anni di seria scrittura, anche in Cina, Serbia, Libano, paesi che mi sembravano irraggiungibili, invece, laddove c’è ancora passione per la bellezza del talento, mi hanno aperto le porte, anche con oltre 200 tesi di laurea master e dottorati ovunque, persino in Tunisia».

E’ evidente che nell’originalità della sua scrittura incide molto la sua profonda conoscenza del mondo classico. Lei è latinista e grecista ed ha la capacità di far vivere l’epoca classica anche nei suoi articoli sull’attualità. Sul piano della struttura narrativa, del linguaggio e della costruzione della lingua, in lei vivono mondi antichi e moderni. Quali sono i suoi massimi punti di riferimento?
«Il mondo classico è una ricchezza nutritiva di cui tutti dovremmo beneficiare. Come il latte materno immunizza dalle malattie, il classicismo immunizza dalla bruttezza e dalla sciatteria. Conoscere il magnifico pensiero dei nostri antenati e come veniva espresso linguisticamente, è stata un’ avventura straordinaria di vita e arte per me. Nessuno pensi che greco e latino o russo facciano miracoli! Se capra sei, capra resti! Solo se c’è già un talento, diventano ‘maestri’ insostituibili, soprattutto nello stile o, come nel mio caso, nella scoperta della metrica, il ritmo i suoni. Se, però, la sonorità non fosse stata un mio patrimonio emotivo, non sarebbe successo nulla, pur studiando tutti i classici del ‘mondo‘. Insomma è il ‘dentro‘ che conta, è l’anima che conta, senza questo ‘terreno‘ non nasce nulla, solo sterpaglia. L’inchiostro per la mia scrittura, è il mio sangue, voglio dire un dolore vissuto fino all’ultima goccia, senza mendicare nulla a nessuno, consegnandomi al silenzio, alla ricerca. La scrittura è una discesa agli inferi, metaforicamente, scava in me come un minatore in miniera e tira fuori quel che la coscienza o la paura o il giudizio occulta. Nei miei elzeviri su pagine culturali dimostro che il ‘classico‘ è più che mai moderno, attuale e, proprio per questo, come possa costituire un faro d’orientamento in un mondo alla deriva, alla mercè di facebook e del web in genere. Labirinti di malessere e di solitudine, conduttori di delinquenza, aggressività, sciatteria, anaffettività».

Ninna Nanna del lupo, L’albero di Giuda, La pupa di zucchero, Disio, 7 uomini 7. Peripezie di una vedova, Pazza è la luna, L’incantesimo della buffa. Vi è un filo rosso che lega tutti questi romanzi?
«Cosa lega i miei romanzi? La mia curiosità, il mio malessere, la mia inquietudine, il mio fuoco interiore, le mie grandinate umorali. Io sono il collante per le mie ‘creature’, che cerco disperatamente di allontanare da me, non rileggendo mai nessun testo, nemmeno una pagina, dopo la sua pubblicazione. Da quel momento affido queste ‘creature‘, di carta e d’anima, ai lettori, che le ameranno, giudicheranno, sbraneranno, come vogliono. Insomma le faccio volare da subito perché imparino la Libertà, che io mi sono guadagnata a prezzi altissimi e per la quale, nel gretto mondo editoriale, pago ancora prezzi altissimi. Ma non intendo portare collare, né museruola, mai».

Silvana Grasso e la copertina del suo libro

Silvana Grasso e la copertina del suo libro

Come nasce il titolo Il cuore a destra’?
«Il cuore a destra è un racconto lungo, che verrà portato in teatro dal grande Moni Ovadia per la prossima stagione teatrale, come già altri miei due testi – “Manca solo la domenica” e “Peripezie di una vedova” – che, con Licia Maglietta protagonista e regista, da 7 anni incantano il pubblico italiano e europeo, ininterrottamente rappresentati dal Piccolo Teatro di Milano al Bobign di Parigi. Il titolo mi fu suggerito da una patologia medica rara, nascere con il cuore a destra e non a sinistra. Uno dei personaggi ha infatti il cuore a destra, che lo salverà dalla morte. Ma poi diventa una metafora per esaltare, non mortificare, la diversità, ancora oggi temuta, ostracizzata, vilipesa. Il diverso è un valore. Anche io, per fortuna, sono una ‘diversa’, tanto che mia madre pensò, seriamente rattristata nei miei primi anni di vita, che fossi sorda o ritardata mentale. Lo pensò perché non facevo le stesse cose che facevano i bambini della mia età, scimmiette ammaestrate. Chi non siaccoda e non si allinea è un diverso, e rischia la ghettizzazione. Invece è proprio la diversità che cambia le prospettive, e dà ampiezza all’orizzonte».

“Solo se c’è la luna” è un romanzo che unisce in maniera notevole capacità inventiva e racconto psicologico dei personaggi. Ogni dettaglio è curato minuziosamente. Nel testo vi è un sapiente ancoraggio al contesto storico ed il racconto delle contraddizioni, dei desideri, delle paure, dei sentimenti contrastanti che animano i personaggi del romanzo. L’insieme è descritto con una scrittura come sempre raffinata e vitale. Ritiene che questo romanzo possa rappresentare una summa della sua produzione narrativa?
«Solo se c’è la Luna è un mistero anche per me! Come sempre ho una vaga idea quando comincio a scrivere un nuovo romanzo, che poi mi caccia, mi scalcia e prende lui le redini in mano. Certo queste due adolescenti quasi sorelle, Luna e Gioiella, che agli inizi degli anni Cinquanta, nella reclusione della loro vita, vivono passioni saffiche e amplessi etero, all’interno di una storia ironica e divertente, ma anche tragicae poetica, sono due creature extraordinarie, ‘diverse’, che incantano i lettori ovunque, anche gli italiani nel mondo. Due adolescenti che, per ragioni diverse, non hanno avuto una madre, né un contesto affettivo, eppure vivono con forza, fantasia e disinibizione, quell’assenza. Ironia e dramma si bilanciano magnificamente, il romanzo corre, e molti lettori comuni lo hanno letto più e più volte, rammaricati di doversene congedare, perché arrivati alla fine. Questa è la prova che non esiste un romanzo concepito alla scrivania, ma un caldo grumo di emozioni che pervadono, invadono, innamorano…e diventano ‘miracolo‘».

Può indicarci un autore contemporaneo che ritiene indispensabile leggere? E chi invece non leggerebbe mai e ne sconsiglia la lettura?
“Non consiglio mai nulla, in genere. Ognuno si scelga i suoi autori, sulla scorta delle sue vicende di vita, delle sue necessità emotive. Oggi la letteratura, almeno in Italia, è morta o in gravissima leucemia di scrittura e fantasticheria. Consigliare un titolo o un autore contemporaneo significherebbe affidare a un riconosciuto pedofilo un bambino! Non voglio questi reati sulla coscienza, io».

Lei è una figura fuori dagli schemi, che trasborda limiti e definizioni. Perché decise di fare l’assessore alla cultura a Catania con il centrodestra?
«Quando mi fu proposto di occuparmi, in qualità di assessore tecnico, non politico, della città di Catania, non sapevo nemmeno chi la governasse al momento. Era piena estate, ed io avevo lasciato Catania da 30 anni! Chiunque me lo avesse chiesto, anche il diavolo, avrei accettato comunque. Io tratto solo con la bellezza, l’onestà, la capacità, il presente e il futuro. Potermi occupare di una città bellissima solo grazie alla sapienza e all’architettura del passato, poterne progettare resurrezione, vita, bellezza, fu tentazione irresistibile per me che, con occhi persi, avevo guardato i Beni Culturali di Catania, da ragazzina all’Università. Quasi subito, proprio perché competente in tema d’archeologia, capii che molti reperti archeologici erano stati trafugati da Castello Ursino proprio da chi era invece tenuto alla loro custodia, un’emorragia ignobile durata almeno mezzo secolo. Capii pure che nessuno denunciava, perché chi fa politica da politicante non denuncia, ma occulta. Questo fu per me una grande occasione di legalità vera, non gridata e sproloquiata. Feci una crociata mediatica senza precedenti, tale che, dopo la denuncia in Procura, in pochissimo tempo ottenni il censimento video di tutti i beni, salvando quel che restava e che oggi proprio per il censimento è al sicuro da altri ladroni. Spero che questa operazione di giustizia contro farabutti in giacca e cravatta, mi abbia fatto guadagnare un metro di paradiso, non solo una gravissima gastrite emorragica con ernia iatale, perché lottavo contro il tempo, non dormivo, non mangiavo. Era chiarissimo a tutti che mi avrebbero fatta fuori in modo incruento, congedandomi con mille complimenti, i miei assassini. Ma io li fregai sul tempo!».

Ottimista o pessimista sul futuro della Sicilia?
«Sono ottimista solo sul mio basilico, che ho piantato con le mie stesse mani, che ho seguito ogni giorno con le mie cure e adesso trionfa sul mio terrazzo!».