Intervista a Tremonti: “La riforma costituzionale garantisce l’ingovernabilità”

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Giulio Tremonti

Giulio Tremonti

di Roberta Barone

C’è un luogo in cui il dibattito non deve mai mancare quello è sicuramente l’Università. Lì dove il pensiero critico, le discussioni, i dubbi e le perplessità devono assolutamente prevalere sulle certezze politiche e gli slogan da spot elettorale. Così è avvenuto a Palermo nel corso del seminario svoltosi lo scorso 4 ottobre presso l’Aula magna del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo, nel corso del quale hanno preso la parola illustri giuristi del calibro di Ugo De Siervo, Presidente emerito della Corte Costituzionale, e diversi deputati nazionali e regionali. Il seminario “Verso il Referendum costituzionale, l’Italia cambia verso” ha dunque offerto ai numerosi studenti e avvocati presenti all’Università diverse chiavi di lettura della riforma fortemente voluta da Matteo Renzi, da quelle più favorevoli a quelle palesemente contrarie.

“Una riforma che – a detta di Giulio Tremonti, senatore ed ex Ministro dell’economia e delle finanze, presente a Palermo – non è soltanto una riforma costituzionale perché essa è stata costruita insieme all’Italicum”, la tanto discussa legge elettorale sulla cui costituzionalità la Consulta dovrà pronunciarsi a data da destinarsi, ma non prima del referendum del 4 dicembre. In caso di vittoria del Sì, Tremonti ha poi ribadito che il nuovo Senato esprimerà inevitabilmente maggioranze diverse rispetto a quelle della Camera e, nonostante ciò, sarà chiamato ad esprimere pareri su questioni di carattere europeo che oggi ricoprono ogni aspetto della nostra vita. Ecco perché non è vero che la riforma garantisce la governabilità.

On. Tremonti, quali sono gli aspetti principali che contesta della riforma?
Dovrebbe essere una macchina nuova, più veloce, più economica, più stabile. Più veloce nel fare le leggi, ma ammesso che servano più leggi, oggi passano in 53 giorni e quindi non mi sembra un tempo così lungo. Si dice: ma in Italia le fai con decreto legge. Perché gli altri parlamenti in Europa fanno gli emendamenti? Hanno solo il controllo generale. Più economica? Il risparmio è solo di 50 milioni.

E della cosiddetta governabilità?
E’ presentata al mondo come una riforma che garantisce la governabilità ma in realtà la riduce, rispetto ad oggi, sul tema fondamentale dell’Europa dove Europa è ormai tutto. Mentre una volta rappresentava l’agricoltura, oggi essa è il risparmio, la vita delle persone, il futuro, basti guardare ai nuovi trattati. Allora, come è stato giustamente detto dai sostenitori del Sì alla riforma, il Governo dovrà andare nel nuovo Senato a trattare senza mettere la fiducia, ma non a trattare sulla finanza locale – che sarebbe giusto – ma a trattare sull’Europa, cioè su aspetti che riguardano tutto. Se questo è il modo per rendere il Paese governabile, credo che sia l’esatto opposto, quindi ci garantisce l’ingovernabilità del Paese. Più aumentano le difficoltà in Europa, il peso della finanza nel mondo e più l’Italia non va avanti con la riforma di Renzi, ma indietro.

Si parla sempre di più della questione referendaria con riferimento alla famosa ‘credibilità’ nei confronti dei mercati internazionali.
Guardi io stilerei con il professore Cerulli Irelli (presente al convengo, ndr) un comunicato congiunto in inglese da mandare a Londra e gli spieghiamo che il Governo avrà meno poteri di prima su materie fondamentali, come quelle sull’Europa, il risparmio, il bail-in e tutto questo. Perché il Governo dovrà andare a trattare coi senatori locali senza potergli imporre la fiducia. Questo non è che aumenta ma riduce la governabilità, e quindi la credibilità.

Cosa ci dice invece sulle dichiarazioni della Jp Morgan che nel 2013 individuava, tra i vizi del sistema italiano, una debolezza del potere esecutivo nei confronti del Parlamento?
Quando uno conosce quel mondo poi magari non lo considera più così come nella leggenda. Tuttavia, bisogna dire che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei termini definiti sull’Economist e sul Financial Times. Giusto? Se gli vai a dire però che il nuovo Senato sarà il nuovo principe, perché conterà molto di più del Governo, magari cambiano idea sull’Europa. L’Intellettuale Dissidente