Parlare del caldo è l’unico modo per rinfrescarsi (forse)

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Caldo-africano

di Giuliano Guzzo

S’accontentasse di toglierci il respiro. No, il caldo di luglio, questo ingordo, si prende pure i pochi discorsi che il fiato residuo concede e così, che si incontri il vicino di casa che si saluta quasi quotidianamente o l’amico che non si vedeva da tempo, si finisce subito lì, a discutere di afa, di temperature troppo alte e di ombre troppo piccole. E’ una sorta di scambio della lamentela – io ti esprimo la mia, tu fammi sentire la tua – finalizzato alla condivisione esorcizzante, al tentativo di vedere quanto c’è di vero, nel «mal comune mezzo gaudio».

Dopo l’iniziale e rapido accertamento del fatto che l’interlocutore vive il nostro stesso dramma, di solito, segue franco confronto sui rimedi possibili, che vanno dall’impiego forsennato del condizionatore (beato chi ce l’ha) al ricorso alla tradizionalissima bottiglietta – che d’estate diviene una sorta di seconda protesi del corpo umano (la prima, ovvio, è lo smartphone)-, dagli arresti domiciliari volontari, soprattutto fra le ore 11 e le 18, controbilanciati da esercizi di nottambulismo, a sogni d’alta montagna che non si sa mai se e quanto s’avvereranno.

Il discorso sul caldo, poi, vira puntualmente sul problema per eccellenza: la notte. Come fare ad affrontare la fase notturna serenamente? Il ronzio del ventilatore è fastidioso, se non controllato l’uso del condizionatore rischia d’essere pericoloso, per non parlare le finestre aperte, sogno proibito di sciami di zanzare tigre che non aspettano altro. Morale: ognuno duella col caldo estivo, di notte e di giorno, come meglio riesce. Nessuno ha la bacchetta magica. Anche se in effetti un rimedio comune – benché parziale – sembra esservi: ed è, appunto, parlare del caldo.