Gli ottantanove anni di Benedetto XVI. Ombre e luci del papa della verità

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Il Papa Emerito Joseph Ratzinger

Il Papa Emerito Joseph Ratzinger

di Valerio Musumeci

papa emerito2“Cooperatores veritatis”. Seguire, cooperare alla Verità. E’ il 24 marzo 1977 quando il professor Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI, sceglie come motto episcopale questo passo della Terza lettera di Giovanni. Paolo VI lo ha appena nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga: pochi mesi dopo sarà creato cardinale, in tempo per partecipare ai due conclavi del 1978 che eleggeranno papa Albino Luciani e pochi mesi dopo Karol Wojtila.

Quest’ultimo, Giovanni Paolo II – oggi santo – lo chiamerà a stabilirsi in Vaticano nel 1982: da allora Ratzinger ha lavorato ininterrottamente nella Curia Romana fino all’elezione a pontefice nel 2005 e alla rinuncia storica al ministero petrino nel 2013. In questa vita di grandi onori e immense opere, “Cooperatores veritatis” resta il motto del papa tedesco. Una costante che egli spiega così, ripensando a quella scelta:

Per un verso, mi sembrava che fosse questo il rapporto esistente tra il mio precedente compito di professore e la nuova missione. Anche se in modi diversi, quel che era e continuava a restare in gioco era seguire la verità, stare al suo servizio. E, d’altra parte, ho scelto questo motto perché nel mondo di oggi il tema della verità viene quasi totalmente sottaciuto; appare infatti come qualcosa di troppo grande per l’uomo, nonostante che tutto si sgretoli se manca la verità. 

Oggi Benedetto XVI compie ottantanove anni ed è ancora il cooperatore della verità. Chi scrive conosce molte persone che potrebbero giurare il contrario, e farlo con cognizione di causa anche riguardo a temi delicati come la pedofilia nel clero e la copertura di questi abusi. E io ci credo: è un paradosso?

Le ombre

Può, colui che ha impressa sul suo stemma la Verità, averla taciuta o addirittura coperta, specialmente in materie così gravi? La risposta è sì, può. Perchè chiunque in vita abbia la ventura di incontrare il potere, e di entrare nella gestione del medesimo, si trova inevitabilmente a compiere delle scelte: e non c’è ragione umana che possa stabilire quali siano giuste e quali errate. Ciò giustifica le scelte che sbagliate che Ratzinger può aver fatto? No. Ma ciò, al contempo, lo accusa di fronte agli uomini e a Dio? Nemmeno. Come scrisse lo stesso Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda (paese gravato da una triste storia di abusi sessuali su minori da parte di religiosi), nel paragrafo intitolato Alle vittime di abuso e alle loro famiglie:

Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata. Molti di voi avete sperimentato che, quando eravate sufficientemente coraggiosi per parlare di quanto vi era accaduto, nessuno vi ascoltava. Quelli di voi che avete subito abusi nei convitti dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze. È comprensibile che voi troviate difficile perdonare o essere riconciliati con la Chiesa. A suo nome esprimo apertamente la vergogna e il rimorso che tutti proviamo. Allo stesso tempo vi chiedo di non perdere la speranza. È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. Egli comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa. So che alcuni di voi trovano difficile anche entrare in una chiesa dopo quanto è avvenuto. Tuttavia, le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie ai quali il potere del male è infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Credo fermamente nel potere risanatore del suo amore sacrificale – anche nelle situazioni più buie e senza speranza – che porta la liberazione e la promessa di un nuovo inizio.

Le luci

Non deve sfuggire che la prima lettera Enciclica di papa Francesco, quella consegnatagli da Ratzinger e completata dal papa argentino, si intitoli “Lumen fidei”. Dopo tutto ciò che abbiamo acennato – ma che ha segnato profondamente la vita pastorale e personale di Benedetto XVI, ritenuto da molti una sorta di protettore dei pedofili ad honorem – , il papa tedesco preparava un’Enciclica sulla Luce. C’è in questo una straordinaria levità: come anche nel fatto che nel prepararla, ad un dato momento, il pontefice abbia deciso di abbandonare il trono petrino per consegnarlo a un papa più giovane, forte, al passo coi tempi ma non banalmente “innovatore”.

“Luce del mondo” è anche il titolo di un libro-intervista di Benedetto a Peter Seewald, nel quale si affronta il discorso relativo alle dimissioni del papa in caso di manifesta incapacità a reggere l’altissima incombenza assunta in Conclave. L’allora cardinale Ratzinger aveva dovuto vivere l’esperienza della vecchiaia del grande Giovanni Paolo II, il quale essendo un caterpillar volle morire sul campo. Anche qui questione di scelte: Ratzinger osservava in silenzio e la lezione di Wojtila dovette entrargli bene in mente. Morire sul Trono e così onorare l’incarico ricevuto da Dio o lasciare quel Trono a chi meglio può gestirlo per il bene della Chiesa cattolica e quindi dell’umanità? Diceva Benedetto XVI a Peter Seewald: 

Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché non è il momento di dimettersi. Ci si può dimettere in un momento di serenità o semplicemente quando non ce la si fa più. Ma non ci si può tirare indietro e dire ci pensi un altro. Quando si giunge alla chiara consapevolezza di non essere in grado di continuare, in questo caso il Papa ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi.

Oggi

Oggi il papa emerito compie ottantanove anni, dunque. Un articolo di giornale è poco e anzi è nulla per provare a tracciare un quadro minimamente accettabile di temi come quelli ai quali abbiamo accennato. L’estrema sintesi, nel giorno del compleanno di Sua Santità (questo titolo è rimasto) è il seguente: come per ogni altro uomo, il papa ha delle possibilità di convertire il suo pensiero in azione. Questo è il potere. Le ombre di Joseph Ratzinger riguardano l’uso che egli – in buona fede – fece di questo potere. Le luci sono ciò che con il potere non ha fatto – rinunciandovi, cioè -, lasciando la barca di Pietro alle soglie di un cambiamento d’epoca senza precedenti nelle mani forti di papa Francesco (oggi a Lesbo, e apriti cielo, è proprio il caso di dirlo). E la conclusione può essere la seguente, un vecchio tarlo di chi queste righe sta scrivendo: alla sera della vita “saremo giudicati sull’Amore”, e saremo orgogliosi non di ciò che abbiamo fatto, ma di ciò che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Tipo morire sul campo: che è da eroi, ma non sempre è la cosa migliore.