Governo giallo-rosso, lo spettro di nuove uscite allarma il Pd

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LAPR0369-k4RB-U31401643980276jVB-656x492@Corriere-Web-Roma«Il clima con Renzi si è rasserenato…». Il mezzo sospiro di sollievo che filtrava in serata da Palazzo Chigi conferma a quale livello sia arrivata la tensione ai vertici dell’alleanza di governo, da quando «Matteo» ha cominciato a giocare la sua partita politica da leader di Italia viva. Il premier Giuseppe Conte, che aveva chiesto alla squadra compattezza e lealtà, non sopporta che Renzi alteri gli equilibri e non sembra convinto che la strategia del silenzio di Nicola Zingaretti basterà ad arginare l’esuberanza del predecessore.

«Renzi è a caccia di visibilità e noi dobbiamo ignorarlo, non inseguirlo — ripete a porte chiuse il segretario del Pd —. Se stiamo al merito e non raccogliamo le polemiche si sgonfierà da solo». Ma non tutti, al Nazareno, la pensano come il presidente del Lazio. Il fragoroso attacco del vice Andrea Orlando, che ha accostato la Leopolda renziana al Papeete salviniano, rivela i dubbi e i tormenti di chi vorrebbe vedere maggiore energia nel contenere il «fattore R». «Dobbiamo fargli capire che siamo pronti a dargli un ceffone bello forte», rimuginano i più nervosi nel Pd, dove giorni fa girava l’idea di prendere le risorse per il cuneo fiscale sacrificando gli 80 euro, vessillo dell’era Renzi.

Se Orlando è preoccupato, Conte lo è di più. Venerdì da Assisi il premier ha evocato la fine prematura della legislatura («rischiamo di non andare avanti») per ammonire l’alleato recalcitrante, che stando ai sondaggi non può permettersi di andare a votare. Accusando Renzi di essere stato «scorretto» su Iva e cuneo fiscale, Conte ha rinsaldato l’asse con il Pd, ancora sotto choc per la scissione e terrorizzato da altre uscite. L’ultima senatrice ad aver detto bye bye era una zingarettiana di ferro, Anna Maria Parente. E non è finita, perché se i renziani negano che Renata Polverini si sia autosospesa dal gruppo di Forza Italia per traslocare in Italia viva, le stesse autorevoli fonti parlano di «altri dieci deputati e senatori in arrivo, da qui a Natale».

E così, un po’ la paura dello stillicidio di uscite, un po’ la consapevolezza che una corda così tesa può spezzarsi, ieri la frenata è stata evidente. Renzi in tv da Lucia Annunziata ha agitato un «ramoscello d’ulivo» e Palazzo Chigi, grazie al lavoro di ambasciatori e pacificatori, lo ha raccolto. Questo non vuol dire che ci sarà a breve un faccia a faccia, perché Conte insiste nel volere al tavolo della maggioranza solo i ministri e i capidelegazione.

Se un contatto diretto tra il premier e Renzi nelle ultime ore non c’è stato, a placare le acque ha contribuito la tessitura dietro le quinte del ministro Dario Franceschini, che anche ieri ha sentito Maria Elena Boschi in qualità di capogruppo di Iv. Ma dietro i segnali di fumo la maggioranza resta fragilissima, scossa dai venti del Russiagate, dai soldi per la manovra che scarseggiano, dalla bufera sugli F-35 e dal centrodestra che si ricompatta. È vero che Renzi «per quieto vivere» ha dato il via libera al taglio del cuneo per 2,7 miliardi, ma è vero anche che ha suggerito a Conte di cedere «a un professionista» la delega sui servizi segreti, altro terreno minato su cui il premier metaforicamente cammina. L’altro fattore di instabilità è l’intesa tra Renzi e Luigi Di Maio, che ha preso a confrontarsi al telefono con l’ex premier.

«Per noi la legislatura dura fino al 2023», si è impegnato a parole Renzi. Ma al Nazareno non è sfuggito che il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, abbia predetto sul Corriereche «fino al 2020 Matteo non romperà». Come dire che il governo Conte potrebbe finire molto prima della legislatura.

Corrieredellasera