Paternò. Intervista a Graziella Ligresti: “Fui io a non volere Etnapolis”

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di Andrea Di Bella


Graziella Ligresti, già sindaco di Paternò dal 1993 al 2002

Graziella Ligresti, già sindaco di Paternò dal 1993 al 2002

Paternò ieri e Paternò oggi. Le verrebbe da dire che è una città che è rimasta indietro sul piano culturale e dello sviluppo economico rispetto agli altri centri del comprensorio?
Io non so se Paternò è rimasta indietro rispetto alle realtà del territorio come Belpasso, Biancavilla, Adrano ed altre. Bisogna fare attenzione ai parametri secondo cui operiamo certe comparazioni. Se i parametri sono di tipo visivo, credo che le condizioni potrebbero anche essere fuorvianti.  Se i parametri sono scientifici, ed io non ne sono comunque completamente a conoscenza, allora possiamo individuare settore per settore quali potrebbero essere non solo i settori che versano più in difficoltà ma anche le cause. Nella situazione di non sufficiente risposta nell’ambito della pulizia, per esempio, dobbiamo andare più indietro e pensare all’ATO, che ha dissanguato i cittadini e i Comuni, sia pure adesso è una società in liquidazione. A questa Amministrazione guidata da Mauro Mangano rimprovero la non tempestività, pur tra le difficoltà della burocrazia, relativamente l’indagine tecnicamente seria e affidata a personalità di rilievo in ambito di raccolta e gestione dei rifiuti, che a mio avviso avrebbe dovuto condurre già fin dal 2013 e non a fine mandato. E poi l’occupazione, la situazione delle campagne, la crisi finanziaria: per noi è tutta crisi di mercato che è diffusa a Paternò come altrove, sia pure in modo diverso. Esiste un “Patto di Fiume Simeto” e attraverso questo punto di osservazione mi rendo conto che sul piano economico la crisi occupazionale di Adrano, per esempio, non ha nulla di meno grave della crisi che attanaglia Paternò. Su questo fronte sarei molto cauta, a vantaggio o a svantaggio di chicchessìa.

“Patto del Fiume Simeto”, quindi identità del territorio. Significa che è contro la Città Metropolitana di Catania?
Oggi possiamo dire che c’è una normativa che ci obbliga all’aggregazione. Uno o due anni fa saremmo stati forse in grado di organizzarci diversamente, e comunque non è stato dato potere ai cittadini di decidere il da farsi, di scegliere come riorganizzare il territorio. Nemmeno i Consigli Comunali si sono potuti esprimere. La Regione ha successivamente identificato l’area metropolitana con l’ex area della Provincia di Catania. La normativa è questa e adesso, piaccia o no, dobbiamo adattarci.

Questa Amministrazione si identifica bene nelle iniziative e finalità del “Patto del Fiume Simeto”?
Non fa bene ancora nessuno dei Comuni coinvolti, per il semplice motivo che questa è una esperienza ancora nuova ed i sindaci non hanno ben capito come va organizzata la macchina comunale relativamente le logiche e finalità del Patto.

Secondo lei Paternò è stata traghettata nel modo più adeguato in Europa, dal 1992 agli anni 2000?
C’è una pista istituzionale e una pista prettamente popolare. Sul piano istituzionale il traghettamento in Europa è avvenuto e avviene prevalentemente attraverso l’utilizzo delle risorse comunitarie, che servono in alcuni casi un utilizzo utilitaristico nel senso che interessano le risorse, ma anche un utilizzo che accresce l’aspetto culturale. Purtroppo non sufficientemente le istituzioni hanno guardato alle opportunità offerte dall’Europa. Ci metto dentro anche l’Amministrazione che guidai io per dieci anni, che pure orientammo alle occasioni che l’Europa offriva. Ricordo un progetto “Leader 2 Paternò-Belpasso”, che ha significato aiuti in particolare alle piccole e medie imprese in ambito agricolo e commerciale. Noi avevamo messo in piedi un’agenzia di sviluppo, con tutti i suoi limiti. Finì tutto, e mi preme dire che su questo fronte entrambe le amministrazioni successive alle mie, di centrodestra e l’attuale di centrosinistra, sono state molto carenti. Preparammo anche un importante progetto Life che non fu finanziato.

Questione legalità. Lei fu eletta all’indomani delle stragi di Capaci e Via d’Amelio.
Lo ricordo bene. Fui eletta nel 1993, con l’applicazione della normativa che prevedeva l’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini anziché dei Consigli Comunali. Vorrei ricordare che non solo nella città scorreva letteralmente il sangue, con regolamenti di conti continui, estorsioni ai danni di commercianti ed altro, ma che la criminalità era tra i cittadini ed anche nella classe dirigente. Ci sono state ditte chiamate per trattativa privata presso le quali sono avvenuti anche degli omicidi, tutto all’ombra del palazzo comunale. Quando ero sindaco coinvolgevamo molto le scuole e i ragazzi, mettevo ai piccolissimi la fascia tricolore ed usavo questa espressione: dove siete seduti voi sedeva l’amico del boss. Questo era il livello di illegalità. Per non parlare della illegalità che scaturisce dal blocco della democrazia, dai veti incrociati proprio perché non si mettevano mai d’accordo sulla spartizione di progetti. Si bloccava tutto e si perdevano finanziamenti per la realizzazione delle scuole elementari, per esempio. Noi ci occupavamo ogni giorno di queste cose. Per i rifiuti partecipò soltanto una società, che incontrai coi carabinieri per paura di ritorsioni o altro del genere. Per quanto riguarda il blocco della costruzione delle nuove scuole, ricordo l’occupazione dei genitori e i tripli turni degli studenti. I quartieri Scala Vecchia e Trappetazzo e le visite continue delle donne che sentendosi forse più rappresentate da un sindaco donna come loro, venivano a trovarmi continuamente lamentando la presenza in abbondanza di polvere e fango. I soldi c’erano ma venivano inutilizzati ed anche perduti per via di resistenze indecenti. E poi il cimitero, avevamo circa 300 salme che chiamavamo “nomadi” perché venivano provvisoriamente sistemate in un loculo per poi vagare in altri loculi. Questa è una cosa che mi ha segnato profondamente.

E il cimitero nuovo?
I lavori iniziarono negli anni 70 e non andavano mai in porto. Facevano delle varianti in modo continuo e vergognoso, perché i guadagni erano altissimi e nascosti. Il cimitero per questo non vide la luce prima di questi ultimi anni. Queste sono le forme di illegalità più gravi contro cui abbiamo combattuto.

E nessuno faceva niente?
Da un lato c’era una classe politica e classe dirigente connivente, dall’altro lato purtroppo il silenzio della città. E’ molto triste, enormemente triste, ma fu e forse in parte è ancora così.

Lei fu eletta in un movimento civico identificato come un movimento prettamente antimafia.
Si, e la mia giunta non fu mai politica. E non per uno spirito giustizialista, perché appartenendo a quel pezzo della cittadinanza impegnato nella cultura dei diritti e dei doveri, insieme ad altri soggetti di quest’area culturale sentimmo che non era giusto rassegnarci. Ammetto di essermi trovata sindaco in uno stato di totale ignoranza in materia amministrativa, anche dal punto di vista delle procedure ed altro. Passavo giornate intere a studiare la vicenda del cimitero nuovo, fino a quando mettemmo insieme le carte e le mandammo al magistrato. Ma non era giustizialismo, era sana espressione di anticorpi in una città viva. Mi permetto di dire che Paternò forse era più viva allora di oggi.

E se accadesse oggi una nuova strage come nel 1992?
Non ci sarebbe più quella passione civica forte, se vogliamo anche estrema e totalizzante. Avevamo i morti per le strade, si rende conto? Quando fui appena eletta, pochissimi mesi dopo uccisero un giovane proprio qui all’incrocio uscendo da questo bar. Un regolamento di conti. Se lo immagina un sindaco a governare oggi in un clima del genere? Forse fui incosciente, non avevo esperienza, eppure quando nel 1990 si formò La Rete avevamo capito che dovevamo partecipare alla vita pubblica. Dal 1991 al 1993 quando fui eletta, che esperienza potevo aver acquisito? Imparammo strada facendo.

Quando fu sindaco, pensò mai che vent’anni dopo ci avrebbero chiuso l’ospedale?
Quando ero sindaco ricordo che si paventò la chiusura di qualche reparto. Noi ci adoperammo, e per noi intendo l’Amministrazione ma anche la società civile. Mi mobilitai immediatamente, ero assillante con tutti i miei interlocutori, politici e non. Chiamavo sempre il direttore sanitario ed anche il responsabile provinciale dell’Asl, oltre che i deputati. Ricordo Anna Finocchiaro che era anche allora senatrice, che sollecitammo molto per un finanziamento che poi alla fine arrivò. Il nostro era un ospedale davvero degradato, e quindi arrivarono risorse importanti con cui si mise in condizioni più che decenti il nosocomio, con particolare attenzione al centro analisi. Superammo le difficoltà e lasciai nel 2002 senza pericoli incombenti. Si parla comunque da sempre di un riassetto complessivo della sanità regionale. Una situazione legata alla questione annosa dei costi esorbitanti. Riguardo la situazione attuale, per quello che può valere, io credo che due azioni politiche più forti sarebbe stato utile portare avanti, e cioè anzitutto la riqualificazione delle professionalità e delle eccellenze del nostro ospedale, attraverso la partecipazione di tutti. Seconda cosa, mi permetto di dire un’azione politica più dura. Il sindaco Mauro Mangano avrebbe dovuto condurre un’azione senza dubbio più incisiva.

Senza polemica: secondo lei anche il senatore Salvo Torrisi?
Tutti i soggetti istituzionali che in qualche modo potevano avere voce e spazio, avrebbero dovuto fare di più, molto di più. Dipende tutto da molti fattori, dai vari livelli istituzionali e politici, va benissimo, sono cose che sappiamo bene. Ma da cittadina dico che sarei stata molto più contenta se avessi avuto la certezza di avere nel territorio soggetti politici che, anche a fronte del medesimo risultato e cioè il ridimensionamento, avessero dato davvero il massimo.

Il rapporto tra Amministrazione e classe imprenditoriale della città?
Devo dirle che pur tra grandi errori e gaffes legate all’inesperienza amministrativa che avevamo, tenuto conto che sono entrata in Comune pensando che fossimo in una situazione a dir poco disastrosa, ammetto che il rapporto tra noi e gli imprenditori era segnato da dimenticanze e forse anche scarsa attenzione. Ma abbiamo portato miliardi di lire di finanziamenti europei, facemmo le bratelle dell’Area Sviluppo Industriale (ASI, ndr), abbiamo avviato la sistemazione degli alloggi abusivi. Ed abbiamo anche aiutato realmente alcune attività commerciali che ancora oggi sono vive ed operanti. E poi studiammo e realizzammo anche un programma chiamato “Patto Territoriale Simeto-Etna”, di promozione nazionale e di investimenti con finanziamenti che arrivavano per le imprese che volevano operare nel settore turistico e agricolo, considerato allora ancora un settore trainante. La crisi sarebbe arrivata nel 2007. Paternò lavorò con grande fatica, ma devo ammettere che gli imprenditori più importanti della città non parteciparono per come noi ci aspettavamo.

Durante la sua Amministrazione si concretizzò mai la possibilità che si andasse incontro al dissesto economico-finanziario dell’Ente?
Si pose la questione dei doposcuolisti. Per chi non li conoscesse, i doposcuolisti sono soggetti che non erano in organico comunale ma che potevano essere mandati dalle Amministrazioni comunali nelle scuole a fare doposcuola. Avremmo dovuto essere l’emblema dell’azzeramento della dispersione scolastica, ed invece andò esattamente all’incontrario con un 20/24% di dispersione. Erano in 150. Ebbene, scattò una legge regionale che impose agli Enti Comunali di immetterli tutti in organico. A Paternò ci trovammo con la prospettiva di dovere assumere in pianta stabile 150 nuovi dipendenti. Ovviamente non furono immessi in forza al Comune ed il cerino in mano restò a me durante la mia sindacatura. Io dissi: assumeteli voi come Regione e li trasferite su tutto il territorio, perché Paternò non ha che farsene di 150 nuove unità.  Finì come finì, ed anche soggetti politici regionali e provinciali provvidero a pagarli per un primo anno con fondi provinciali, per piombare infine sul bilancio comunale. Rimasero molti meno di 150. E non solo adesso bisogna assicurare loro lo stipendio, ma hanno provveduto a presentare ricorsi retroattivi per mancate assunzioni chiedendo milioni di euro al Comune, che di recente ha perso la causa in Cassazione. Le sentenze si rispettano, è vero, ma i magistrati avrebbero forse dovuto tenere conto anche del contesto e delle ripercussioni. Fu una politica becera e clientelare inaccettabile che ha provocato una ricaduta incredibile. Con le strette dei trasferimenti, il bilancio è oggi costituito quasi interamente dal denaro proveniente quasi dalle tasche dei cittadini. E’ davvero incredibile.

Domanda delle domande. Perché no ad Etnapolis a Paternò?
Sono stata io, è vero. Quando il signor Abate venne a cercarci noi eravamo molto contrari ai centri commerciali. Ma soprattutto, abbiamo riflettuto sul fatto che allocare nella nostra città una struttura di tali portate avrebbe significato, come i fatti ci hanno poi confermato, distruggere la piccola distribuzione. Né abbiamo pensato che un centro di tali dimensioni avrebbe potuto assicurare un’alternativa valida a chi fu costretto a chiudere la propria attività. Abbiamo nicchiato, temporeggiato, nella speranza di riuscire a scoraggiare questa iniziativa imprenditoriale. La cosa poi si realizzò a Belpasso. Capisco quando si dice che avremmo perso tante attività e forse anche tanti posti di lavoro, ma che però avremmo avuto entrate certe dall’ICI. E’ una riflessione che io rispetto, ma non riesco a convincermi che malgrado questa considerazione avremmo dovuto fare diversamente.

Se quando fu sindaco le si fosse aperto il futuro davanti e le avessero mostrato cosa sarebbe accaduto anni dopo con Etnapolis costruito sostanzialmente a ridosso della città, oggi assumerebbe la stessa decisione?
Oggi dico che la decisione non l’avrei presa da sola nelle stanze del Comune. Se nel ’90 avessi avuto la consapevolezza di oggi, le rispondo dicendo che la decisione l’avrebbe presa senza dubbio la città. E poi mi lasci dire che eravamo davvero oberati da una montagna di problemi. Forse commettemmo l’errore non di aver detto no, ma di non avere isolato questa questione e di averla trattata in modo più attento. Col senno di poi, dico che se i paternesi avessero detto di sì oggi avrei certamente dato il via libera alla realizzazione del centro commerciale sul nostro territorio.