12 giugno 2025: due anni senza Silvio Berlusconi – di A. Di Bella

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di Andrea Di Bella

Sono trascorsi due anni dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, e oggi, più che alla cronaca, è al giudizio della storia che ci si affida per comprendere il segno profondo lasciato da una delle figure più emblematiche e controverse della Seconda Repubblica. Ma è il tempo presente – confuso, instabile, privo di autentici punti di riferimento – a rendere ancora più nitido ciò che la sua leadership rappresentava.

In un mondo disorientato dalla proliferazione dei conflitti, dal ripiegamento dell’Occidente e dal discredito delle classi dirigenti, la statura di Berlusconi, con tutte le sue contraddizioni, emerge come quella di un leader autentico, capace di esercitare un ruolo, di indicare una direzione, di trattare da pari con i protagonisti della scena internazionale.

Oggi che l’Italia oscilla tra l’irrilevanza diplomatica e il protagonismo velleitario, il suo approccio – talvolta empatico, talvolta spregiudicato – appare come il tentativo più compiuto di restituire al nostro Paese una centralità negoziale. Berlusconi era, a modo suo, un interprete raffinato dei processi globali: intratteneva relazioni personali con capi di Stato, sapeva misurarsi con la complessità geopolitica senza lasciarsi intimidire, e soprattutto non delegava ad altri la propria visione del mondo.

Nell’epoca dell’equilibrismo permanente, del linguaggio anodino, della politica ridotta a gestione amministrativa, manca la capacità di leadership che Berlusconi incarnava – fatta di carisma, di decisionismo, e, non ultimo, di un certo coraggio personale. Sapeva assumersi la responsabilità delle scelte, anche impopolari, e lo faceva consapevole del peso che ogni parola e ogni gesto avevano sul piano nazionale e internazionale.

Lungi dal mitizzarlo, oggi possiamo riconoscere in Berlusconi l’ultimo leader italiano dotato di una visione strutturata e autonoma dei rapporti con l’Europa, con gli Stati Uniti, con la Russia, con il Mediterraneo. Era una visione magari discutibile, ma esistente. E questo, nell’attuale deserto progettuale, è già una differenza che pesa.

In un’epoca in cui la politica appare sempre più subalterna alle narrazioni istantanee dei social network, la sua capacità di costruire consenso, persino attraverso forme eccessive o spettacolari, va letta come una forma di intelligenza del reale, non come una semplice scorciatoia mediatica. Berlusconi ha saputo interpretare il suo tempo, e forse lo ha addirittura anticipato. I suoi limiti, spesso discussi, sono parte integrante della sua parabola umana e pubblica; ma il senso del comando, la volontà di guidare e non semplicemente di amministrare, oggi mancano profondamente.

Due anni dopo, il suo nome continua a suscitare opinioni forti, mai indifferenti. Eppure, è proprio questa polarizzazione che testimonia quanto fosse vivo, incisivo, determinante. Il silenzio che ha lasciato dietro di sé non è solo quello del lutto: è il silenzio dell’assenza, dell’irrinunciabile mancanza di una voce che, piaccia o no, sapeva farsi sentire.

Per questo, oggi più che mai, non si tratta di santificare Berlusconi, ma di riconoscere la sua unicità in un sistema che ha progressivamente smarrito il senso del comando. E questo, nel cuore di una stagione storica così incerta, è un insegnamento che nessun revisionismo potrà cancellare.