Covid, tutti i segreti dei 7 vaccini. Qual è il più efficace

Sharing is caring!

Parola d’ordine: vaccini. È inevitabile che sarà questa la più cliccata e pronunciata del 2021 almeno fin quando la pandemia da Covid-19 non darà un po’ di tregua ed il virus comincerà a “morire”. Per fare in modo che accada, soltanto i vaccini potranno mettere punto al disastro mondiale facendoci tornare alla vita di prima.

Il 27 dicembre 2020 è stato il D-day europeo con le prime somministrazioni simboliche del vaccino Pzifer-BioNtech nel nostro Paese. Da quel giorno sono passati due mesi e mezzo e nel frattempo si sono aggiunti anche quello realizzato da Moderna e l’italo-inglese AstraZeneca.

A giorni dovrebbe arrivare il via libera anche per Johnson&Johnson, l’unico ad essere monodose mentre alcuni altri sono in fase di sperimentazione e pronti ad essere lanciati nei prossimi mesi. Pian piano avremo un tale sovraffolamento da capirci poco: è bene fare un po’ di chiarezza ed una carrellata dei 7 principali vaccini che sono e saranno a disposizione prossimamente con la nostra infografica ed il parere di due esperti che abbiamo intervistato. “In quanto vaccinologo chimico ho avuto modo di seguire lo sviluppo di questi vaccini. La prima cosa che ripeto spesso è che a settembre scorso, in un meeting con esperti nello sviluppo dei vaccini, sul mio quaderno di appunti ho scritto che tutti concordavano nel dire che, se per il mese di maggio 2021 avremmo avuto un vaccino efficace al 60% sarebbe stato un miracolo”, ha dichiarato in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Alessandro Diana, vaccinologo e docente di Medicina all’Università di Ginevra, in Svizzera. Beh, la Scienza ce ne ha già dati alcuni e con un’efficacia molto elevata. “Per l’Epifania avevamo già più di un vaccino e siamo stati tutti rimasti stupiti dell’efficacia di quelli ad mRna al 94-95%, nessuno se l’aspettava”.

Pfizer/BioNtech

Il suo nome tecnico è Comirnaty ed è il primo vaccino approvato con la nuova tecnica ad Rna messaggero: le cellule ricevono l’mRNA dentro un piccolo involucro di grassi (per entrare nelle cellule) e lo usano come stampo per ricavare proteine virali. Da sola, senza il resto del virus, la proteina Spike è innocua ma mette in allarme il sistema immunitario per fargli produrre anticorpi. Si conserva a temperature glaciali comprese tra -90 °C e -60 °C (qui il nostro pezzo). Il vaccino messo a punto dall’azienda americana Pfizer assieme alla società farmaceutica tedesca BioNtech, ha conquistato il mercato europeo già a fine 2020. È quello più utilizzato al momento in Italia che aveva inizialmente acquistato 27,3 milioni di dosi alle quali se ne sono aggiunte 13,2 come recita la tabella del Ministero della Salute che trovate anche all’interno del pezzo. L’efficacia, ed è questa la cosa più importante, è del 95% dopo la somministrazione di entrambe le dosi.

Moderna

Il vaccino della società statunitense Moderna si potrebbe quasi definire fratello gemello del Pfizer/BioNtech per la stessa tecnica ad Rna messaggero, per la stessa efficacia del 95% con la somministrazione completa di due dosi e per la conservazione anch’essa sottozero ma a temperature più “alte” intorno a -20°C. È arrivato poco dopo quello Pfizer, intorno a metà gennaio grazie all’approvazione dell’Ema ma ha subìto degli intoppi a causa di problemi nella produzione ma soprattutto distribuzione. L’Italia aveva inizialmente acquistato 10 milioni di dosi che ha raddoppiato successivamente per un totale di 20 milioni. La problematica maggiore rimane, al momento, la quasi totale mancanza nel nostro Paese anche se la situazione dovrebbe sbloccarsi da qui a breve. “Pfizer e Moderna sono un po’ come una Rolls Royce ma molto fragile: hanno un’efficacia del 94-95%, una Rolls, ma sono fragilissimi perché hanno bisogno di super congelatori per una conservazione a -80 gradi (Pfizer) e -20 (Moderna) e si sa che questi vaccini, a causa della logistica, sarà molto difficili darli in alcuni Paesi in via di sviluppo dove non c’è elettricità e mancano tante cose”, ci dice il Prof. Diana.

AstraZeneca

Finora, è il vaccino più travagliato di tutti: un errore nel dosaggio durante i trials, poi corretto, ne ha ritardato l’approvazione da parte di Ema ed Aifa. E ancora, i dati incompleti sopra la popolazione oltre i 65 anni che non consentono, al momento, la somministrazione alla fascia d’età più anziana. Come se non bastasse, la partenza del vaccino di Oxford e Pomezia è stata ad handicap perché, nonostante l’efficacia del 62% nel contrarre l’infezione e del 100% nei casi gravi sia ottima, paragonato a quelli Pfizer e Moderna è stato giudicato quasi come fosse “non buono”. A differenza dei primi due, il vaccino di AstraZeneca si basa sul vettore virale, utilizza cioè un virus (in questo caso quello dello scimpanzé) innocuo per l’uomo che funge da navicella per trasportare nelle cellule umane il codice genetico delle proteine del virus contro le quali si vuole innescare la produzione di anticorpi. La diffidenza è arrivata anche per la poco chiarezza nella somministrazione della seconda dose: in un primo momento si era detto dopo 4-6 settimane, adesso si è deciso per la somministrazione tra le 8 e le 12 settimane secondo quanto riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’Italia aveva puntato tutto su questo vaccino acquistado un totale di 40 milioni di dosi: l’azienda è pronta a cedere le licenze per accelerarne la produzione.

Le ultimissime novità. “Un pre-print della Publich Healt inglese insieme all’Istituto d’Igiene di Londra e Glasgow ha mostrato che l’efficacia della vaccinazione con Pfizer e AstraZeneca è dell’80% nel prevenire l’ospedalizzazione già con una dose oltre a ridurre anche la malattia sintomatica”, dice in esclusiva al nostro giornale il Prof. Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto per le Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. “Entrambi questi due vaccini hanno un effetto simile e la protezione è mantenuta per 6 settimane, naturalmente la seconda dose protegge ancora di più ma quella di AstraZeneca va comunqe rimandata a 12 settimane” aggiunge Remuzzi che dà una notizia molto importante che rende giustizia anche al vaccino italo-inglese. “Una singola dose di AstraZeneca riduce l’ospedalizzazione del 90% ed è più efficace di Pfizer, lo riporta il NewYorTimes anticipando la letteratura scientifica. È uno studio condotto dal Sistema Sanitario inglese, molto simile ad altri studi scozzesi. Sono queste le novità più grosse”, ci dice.

Johnson & Johnson

Prodotto dall’azienda farmaceutica Janssen con sede in Belgio, è un altro vaccino su cui l’Italia ha puntato molto acquistandone 26,5 milioni di dosi: la novità principale rispetto a tutti gli altri riguarda la somministrazione perché è l’unico ad essere monodose, un vantaggio non da poco. Un altro punto di forza è la conservazione in frigorifero, come quelli tradizionali, ad una temperatura compresa tra 2 e 8 gradi. “Una dose, invece di due, cambia molto ed è veramente un vantaggio”, afferma il vaccinologo Diana. La cosa più importante di tutte è l’efficacia che è “pure ottima perché siamo intorno all’80% vaccino ed è anche lui vettoriale come AstraZeneca. Vaccini di questa tipologia hanno il vantaggio che si possono conservare in frigorifero e non negli ultra congelatori come quelli ad mRna di Pfizer, Moderna e Curevac”, aggiunge. Come abbiamo trattato di recente, è stato appena approvato dall’Fda americana ed, a giorni, si attende il via libera anche dall’Agenzia Europea del Farmaco previsto per l’11 marzo. Sarebbe il quarto vaccino approvato in Europa dopo i primi tre già trattati.

Curevac

Un vaccino di cui ancora sappiamo poco è quello della CureVac, a base di Rna messaggero come Pfizer e Moderna sviluppato dall’azienda biofarmaceutica tedesca. “Aspettiamo gli studi di fase 3 che arriveranno tra poco”, ci dice Diana. L’Italia, per non sbagliare, ha già acquistato 29 milioni di dosi ma difficilmente prima di fine maggio-giugno sarà approvato dall’Ema e, di conseguenza, anche dall’Aifa. Non sappiamo a quale temperatura sarà conservato né, come detto, l’efficacia. In questa situazione, l’Unione Europea ha dimostrato tutta la sua fragilità firmando un contratto al buio ma acquistando 225 milioni di dosi. “Mentre l’appaltatore (l‘azienda CureVac, ndr) ha dato la priorità ed accelerato i suoi sforzi per sviluppare e produrre il prodotto alla luce dell’attuale pandemia di Covid-19, vi è tuttavia una sostanziale incertezza su questi sforzi, con particolare riguardo allo sviluppo clinico del prodotto rispetto alla capacità di mostrare un’efficacia sufficiente per prevenire un’infezione da COVID-19“, si legge sul contratto.

Novavax

Al contrario, si dice un gran bene di Novavax, una società americana di sviluppo di vaccini con sede a Gaithersburg, in Maryland, ma con strutture anche in Svezia. La tipologia vaccinale è simile ad altri già utilizzati in passato. “È un vaccino inattivato, non ad mRna, la proteina Spike è stata purificata in laboratorio con un adiuvante. Appartiene ad una tecnologia dei vaccini che conoscevamo come quella per Epatite B e l’antitetanica, è tecnologia molto più conosciuta. Ci siamo stupiti anche nel vedere che gli studi dimostrino come questo vaccino induce un alto tasso di anticorpi ed ha stupito anche per l’efficacia. È un vaccino promettente che completa l’armata contro questo virus”, afferma il vaccinologo che vive in Svizzera. Inoltre, il vaccino di Novavax non ha bisogno di essere mantenuto a temperature gelide ed è un enorme vantaggio per ospedali, cliniche e farmacie che non hanno capacità di congelamento. Anche in questo caso, però, saranno necessarie due dosi.

Sputnik V

Dulcis in fundo, il vaccino russo di Putin tanto bistrattato alcuni mesi fa quanto voluto adesso anche dall’Italia: a far cambiare idea alla comunità scientifica ed alla collettività sono stati i risultati pubblicati su The Lancet pochi giorni fa che ne hanno certificato l’efficacia del 91,6% e fino al 100% nelle forme più gravi (qui un pezzo sul vaccino russo). Tra gli altri vantaggi, la conservazione può avvenire in un normale frigorifero tra 2 e gli 8 gradi. Va somministrato in due dosi a distanza di 21 giorni l’una dall’altra. “Ero il primo ad essere scettico così come la comunità scientifica perché non c’erano dati – ci dice il Prof. Diana – Per molto tempo ci dovevamo accontentare soltanto dei comunicati stampa russi che dicevano che il vaccino funzionava. Quando tre settimane fa è stato pubblicato l’articolo su The Lancet, devo dire che la lettura di questo studio è ottima sia a livello scientifico sia per come è stato ideato, è un vaccino vettoriale ed hanno cambiato i due vettori entrambi ad adenovirus. Se qualcuno mi dicesse se oggi lo accetterei direi di si”. A San Marino già si usa ed in Europa se ne parla sempre di più: acquisteremo anche questo?

Piccolo problema: mancano i vaccini

Questa carrellata ci fa ben sperare ma soprattutto sognare: si perché, ad oggi, di questi numerosi studi non rimangono che gli studi stessi. I vaccini scarseggiano ovunque e le previsioni più ottimistiche lanciate a dicembre sulla corsa alla vaccinazione sono cadute, per adesso, nel vuoto. “Se avremo abbastanza vaccini non c’è ragione di aspettare per fare richiamo per Pfizer e Moderna, se non ne avremo abbastanza bisogna vaccinare tutti gli anziani il più rapidamente possibile con tutto quello che c’è. Il Washington Post titola ‘The best vaccine is the one you can get’, Il vaccino migliore è quello che puoi avere”, ci dice il Prof. Remuzzi, secondo cui un numero consistente di dosi dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. “Se nel giro di una settimana ce ne saranno abbastanza per vaccinare gli anziani anche con i richiami faremo senz’altro così perché facilita il lavoro delle autorità regolatorie. Altrimenti faremo con quello che abbiamo”. Il Direttore dell’Istituto Mario Negri sottolinea come, anche con una dose, si possa evitare il rischio di una malattia severa. “Secondo l’ultimi lavoro pubblicato su Jama Network, Moderna ha il 92% efficacia dopo la prima dose, Pzifer 52% dopo la prima dose e Astrazeneca al 64%. Tutti questi vaccini, però, proteggono contro il serial Covid al 100%. Quelle percentuali sono contro qualunque sintomo, il 100% è contro la malattia severa”.

“Gesti barriera”. Ecco perché, in attesa che si raggiunga l’immunità di gregge (e la strada è ancora lunga), dovremo continuare ad utilizzare tutte le precazioni a cui siamo ormai abituati da un anno esatto a questa parte. “La vaccinazione aiuterà ad uscire dalla pandemia ma non è tutto, abbiamo bisogno dei gesti barriera: mascherine, distanziamento, lavaggio delle mani ed apertura delle finestre, il ricircolo dell’aria aiuta – afferma il Prof. Diana – La novità che potremo avere fra qualche settimana è che le vaccinazioni non solo proteggono le persone vaccinate ad evitare complicazioni ma aiuterebbero anche a diminuire la trasmissione tra una persona ed un’altra. Questo è un grande argomento perché significa che il vaccinato, oltre al beneficio individuale, non contamina altre persone. Se fra qualche settimana avremo questa evidenza ci permetterà di allentare i gesti barriera. Non oggi ma sarà così nei prossimi mesi”. IlGiornale