Destra, Sinistra e M5S. Domani gli italiani al voto per eleggere il Parlamento

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di Andrea Carmanello

Domani dalle ore 7:00 alle ore 23:00 saremo chiamati alle urne per scegliere chi rappresenterà gli italiani nei due rami del Parlamento per i prossimi 5 anni. Al momento l’unica cosa certa è proprio la tornata elettorale: per il resto si susseguono opinioni, sondaggi e congetture relativamente l’esito del voto. Addentrarsi in questa selva oscura pre voto – che è la politica italiana attuale – senza l’ausilio di nessuno strumento certo costituisce pratica assai ardua, e presuppone coraggio. Vi chiederete quale espressione di coraggio potrà mai richiedere esprimere o meno una preferenza politica per l’uno o l’altro partito. Ed invece la prima forma di coraggio è paradossalmente quella più ovvia: bisogna avere il coraggio di andare a votare, e non importa per quale partito o compagine politica: recarsi al seggio equivale a dire “Io ho espresso la mia preferenza e voglio essere rappresentato dall’uno piuttosto che dall’altro”. Chi si sottrae non potrà permettersi future lamentele, dato il fatto che si è avuta la possibilità di esprimere una preferenza finendo per affidare ad altri la propria libertà di scelta. Ergo, non ci si potrà arrogare il diritto di mugugnare su cose o persone che caratterizzano la cosa pubblica.

Pietro Grasso, leader di "Liberi e Uguali"

Pietro Grasso, leader di “Liberi e Uguali”

La seconda infornata di coraggio sta nella capacità di orientarsi, cercando di capire chi realmente merita la fiducia nostra e quindi del Paese. E qui il discorso si fa più difficile, perché in questa epoca che viviamo (seconda o terza Repubblica è indifferente) le compagini politiche che si presentano sono molte e variegate. Alla luce di ciò, scegliere il partito o la coalizione che maggiormente ci rappresentano risulta essere maggiormente difficile. Ed in questi casi vale il vecchio detto di turarsi il naso selezionando il cosiddetto “meno peggio”, pratica assai diffusa nella prima Repubblica (e in diversa misura anche dopo il 1992). Entrando più approfonditamente nell’analisi del quadro politico e presentando i contendenti partendo da sinistra verso destra, possiamo benissimo partire dalla nuova compagine politica di Liberi e Uguali capeggiata dall’uscente presidente del Senato Pietro Grasso, che racchiude in se i transfughi dell’ala del Partito Democratico più a sinistra con l’aggiunta di coloro i quali non si erano mai identificati nel partito di Renzi, e che si sentono per questo orfani dei valori e degli ideali comunisti ormai non più presenti nell’arco parlamentare degli ultimi anni, sia pure vivi e vegeti fuori dal Palazzo. La compagine si fa promotrice di una serie di valori e principi di sinistra (tutela del lavoro, articolo 18 sul, vicinanza al Popolo dei lavoratori), che vedono come paladino proprio Grasso il quale, abiurando al Pd che nella precedente legislatura gli aveva garantito l’elezione, diventa frontman di questa nuova formazione riunendo nelle sue file tutta una serie di politici della prima e seconda Repubblica che auspicano, grazie a questa operazione, di tornare in Parlamento (Bersani e D’Alema su tutti, per arrivare a Laura Boldrini).

Il segretario del Pd, Matteo Renzi.

Il segretario del Pd, Matteo Renzi.

L’operazione amarcord, così rappresentata, dovrebbe costituire il modo più semplice per rendere accettabile e votabile – sotto l’ombrello parafulmine e rassicurante di Piero Grasso – la rielezione di una serie di soggetti che per carità, hanno negli anni rappresentato e riformato una compagine politica (quella comunista), ma che a causa della scelta divisoria dal Pd di certo non possono pensare di governare il Paese. Ergo: votateli se ne avete a cuore e ne sposate gli interessi. Spostando la nostra virtuale lente d’ingrandimento leggermente più verso il Centro, il nostro occhio non può che soffermarsi sul Partito Democratico di Matteo Renzi, un movimento ormai formato solo da chi ama, rispetta e idolatra il suo buon segretario nazionale. Renzi: l’unico uomo al mondo capace di dilapidare un consenso elettorale del 40% di elettori (elezioni europee 2014) in pochissimo tempo, basando la sua intera esistenza politica su un’altra consultazione, cioè quella del Referendum di dicembre 2016, il cui esito ha determinato la totale debacle sia del suo Governo che la diaspora dei senza dimora politica di cui sopra. Malgrado ciò e malgrado le sue finte promesse da marinaio di abbandono della scena politica se avesse perso la tornata elettorale referendaria, al grido “Io sono ancora qua” (cit. Vasco Rossi) ce lo troviamo a capo del Pd, e da finto capitano coraggioso di una nave in balia delle onde si barcamena dando un colpo alla botte (un giorno contro il M5S) ed un colpo al cerchio (contro i bersaniani e dalemiani di Liberi e Uguali) credendo ed auspicando di attraversare questa tempesta fino al 5 marzo per poi veleggiare sicuro e apparentato con quella componente moderata e centrista di Forza Italia, che potrebbe (a suo avviso, cioè di Renzi) andare a bussare alle porte democratiche per realizzare un Governo.

Tuttavia questo veleggiare non è detto che non porti delle conseguenze patologiche, proprio come malattie quali quella di egocentrismo e centralità che connota inevitabilmente chi anziché unire la sua compagine politica rappresentando al meglio quella sinistra riformista ed evoluta, decide di fare il padre padrone occupandosi solo dei suoi interessi e di quelli dei suoi amici del “giglio magico” (il cerchio era del Cavaliere). Domanda: siamo proprio sicuri che Renzi si sia trovato suo malgrado a vivere una situazione di solitudine centrista, menomato della sinistra nel partito? A me piace pensare che uno che fa del suo ego un must non possa che essere entusiasta all’idea di diventare l’ago di una bilancia politica futura e futuribile. Ovviamente questo è ciò che evidentemente Renzi crede, spera ed auspica.

Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia.

Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia.

E a proposito di egocentristi e fagocitatori di delfini e pigmalioni vari, non si può non parlare del redivivo Silvio Berlusconi, presidente del partito-azienda Forza Italia, riesumato malgrado la sua incandidabilità proclamata dalla Legge Severino in quanto condannato in via definitiva. Egli si presenta come il nuovo/vecchio che avanza e come unica alternativa possibile al quadro politico presente. Che dire, l’Italia è un Paese proprio strano. La coalizione più accreditata dai sondaggi a vincere le elezioni vede al suo interno un partito il cui presidente, ultraottantenne, con ogni probabilità tanto vorrebbe che il buon Renzi si svestisse dai panni di finto presidente di un partito di Centrosinistra per tornare quale splendido figliol prodigo, dal padre putativo Silvio che forse più di tutti lo apprezza e lo stima. Fateci caso: né Renzi né Berlusconi hanno rivolto attacchi reciproci troppo virulenti l’uno nei confronti dell’altro durante questa campagna elettorale. Ma tant’è Berlusconi, dopo aver stipulato il patto dell’arancino a Catania in occasione delle elezioni Regionali nell’isola che hanno incoronato Nello Musumeci governatore, spinto dal vento che viene da destra, decide di proseguire l’alleanza con i fidi alfieri Salvini e Meloni, presentando agli elettori una coalizione di Centrodestra ben omogenea ed anch’essa piena di vecchi tromboni pronti a rimettersi in gioco al grido di flat tax, sicurezza e zero immigrazione clandestina. Questa volta sembra davvero l’occasione giusta per rivedere in auge il buon Silvio, uomo osteggiato dall’Europa per poi essere riesumato dall’Europa stessa che, a dire delle principali testate anche internazionali, vede in lui l’unico salvatore dell’Italia dai populismi e dagli estremismi dei Cinquestelle ed anche di Salvini.

Tuttavia, in caso di vittoria del Centrodestra domenica prossima, il Cavaliere non potrà essere incaricato capo del Governo. Per questo nella giornata di ieri ha ufficializzato la disponibilità (confermata dal diretto interessato via Twitter) del buon Antonio Tajani (uomo per tutte le stagioni forziste, tra i fondatori del partito azzurro insieme a Berlusconi e stimatissimo a Bruxelles dove presiede l’Europarlamento) quale futuro premier: ovviamente nel caso in cui Forza Italia dovesse ottenere anche solo un voto in più della Lega di Salvini, quest’ultimo azionista di un Centrodestra unito a differenza del Centrosinistra di Renzi, bravo solo a dividere. Unire si, ma fino a quando? E sotto quale bandiera, visto che una mattina si e l’altra pure Silvio dice cose diverse da Salvini, cui gli fa eco la stessa Meloni?

Ed infine il M5S del buon Luigi Di Maio, capo politico di un partito che non è partito, che è contro l’euro fino a ieri ma domani potrebbe essere a favore, che l’immigrazione pensa che sia un problema oggi ma domani non si sa, e che ha uno splendido programma elettorale sulla carta che oscilla fra utopia e realtà realizzativa. Il Movimento 5 Stelle si presenta come il nuovo che avanza, peccato che andando a spulciare le candidature si trovi di tutto e di più: dagli ex massoni ai parenti anche intimi di parlamentari regionali ed europei in carica o uscenti. E poi parlamentari uscenti e ricandidati, traditori del patto con gli elettori di rimborsare gli stipendi percepiti in questi anni.

Luigi Di Maio, candidato premier del M5S

Luigi Di Maio, candidato premier del M5S

Il M5S ad un occhio meno attento potrebbe sembrare la compagine comunque meno peggio da votare, l’unica formata da candidati specchiati ed illibati politicamente e non solo. Ma quanto ne siamo sicuri? Si può votare un partito il cui leader appena trentunenne non ha mai finito gli studi universitari? Fin qui nessun problema insormontabile, non è mica la laurea a qualificare qualcuno. Vero, peccato però che il signor Di Maio prima di entrare in politica a colpi di click non abbia mai avuto un lavoro e che diventare onorevole, per costui, costituisca l’unica fonte di reddito. Peccato anche che allo stesso tempo vorrebbe governare con il suo Esecutivo un Paese di oltre 60 milioni di abitanti senza che abbia mai avuto modo di amministrare nemmeno le sue finanze, visto che prima di varcare la soglia di Montecitorio non ne aveva alcuna.

In definitiva emerge un misto tra amarezza e tristezza, ed intanto non possiamo non andare a votare. L’appello di tutti gli uomini e le donne di buonsenso dovrebbe essere quello di esortare al voto scegliendo con il cuore ed anche con la pancia i vostri rappresentanti. E mentre che ci siamo, questi rappresentanti sceglieteveli vicino casa, cioè rappresentanti di questo territorio. Una volta eletti, si spera, sarete così autorizzati a rintracciarli e chiedere conto del loro operato in vostra rappresentanza.