Renzi il furbo: manda avanti Gentiloni e ricicla i trombati

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di Andrea Di Bella

Iniziamo dal voto referendario. “Renzi si è dimesso”, vi diranno quelli che domenica scorsa hanno votato Si. Non è vero. Renzi ha promesso, in una intervista di alcuni mesi fa a RepubblicaTV, che se avesse vinto il No, e se quindi avesse perso sostanzialmente la battaglia delle Riforme alle urne, avrebbe non solo lasciato la presidenza del Consiglio ma “anche la politica”, letterale. Renzi ha mantenuto la promessa per un quarto, neanche per metà. Perchè se a prendere il suo posto è Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri del suo Governo, e con lo stesso Renzi in carica da segretario del Pd, equivale ad un sostanziale cambio di maglia ma con la stessa squadra in campo. Chi è in malafede vi dirà che la formazione di un Esecutivo con queste modalità è stata una condizione forzata dalle opposizioni, alle quali era stato proposto di collaborare ad un Governo di responsabilità nazionale, tutti insieme: cioè la proposta di mettere insieme un vero e proprio pastrocchio a cui nessuno aveva creduto. Una proposta da respingere e respinta, rimandando la palla al Pd che ha attualmente la maggioranza relativa in Parlamento e a cui spettava e spetta il compito di proseguire fino alle elezioni. Ed il nodo sta tutto qui: la legge elettorale. Renzi, assolutamente certo di poter vincere il Referendum, non ha dotato lo Stato dello strumento elettorale al Senato prima voto del 4 dicembre. Questo equivale nei fatti ad aver messo sotto ricatto il Paese: se vinco prendo tutto con la mia legge elettorale legata alla Riforma; se perdo e la Riforma con la legge elettorale non esisteranno più, resterò comunque l’azionista di maggioranza in Parlamento, di cui nessuno potrà fare a meno

Anche le dimissioni da presidente del Consiglio sono state presentate al Capo dello Stato “con riserva” e non con la formula più definitiva “irrevocabili”, fatto che dimostra come Renzi si sia in realtà dimesso lasciando al Capo dello Stato la libertà – o la tentazione – di poterlo reincaricare con l’obiettivo di proseguire la legislatura almeno fino al pronunciamento della Corte Costituzionale il prossimo 24 gennaio, che riscriverà la legge elettorale Italicum cui alcune parti sono state dichiarate incostituzionali, verosimilmente in riferimento ai capolista bloccati. La verità è che spettava a Renzi portare il Paese al voto, proseguendo per qualche settimana il Governo con l’attuale maggioranza che tale resta, adottando una nuova legge elettorale ed affrontando anche il nodo Monte dei Paschi di Siena, per poi tornare dal Capo dello Stato e riconsegnare il mandato: circostanza che avrebbe a quel punto indotto Mattarella a sciogliere le Camere e ad indire nuove elezioni.

Ed invece Renzi ha approfittato fino all’ultimo della situazione: si è lasciato una piccola porticina aperta da cui poter rientrare in caso di emergenza alla guida del Governo, per poi preferire mandare avanti un suo uomo di Governo come Paolo Gentiloni, personalità mite e dalle scarse doti carismatiche, con Renzi segretario Pd che dall’esterno tiene le mani libere. Per di più, per chi non lo sapesse, questa nuova esperienza a Palazzo Chigi sta per inaugurare la vera stagione delle larghe intese: Verdini entrerà infatti al Governo con Marcello Pera (ex presidente del Senato durante il Governo Berlusconi), e sta per riciclare alcuni politici che hanno fatto flop alle scorse elezioni Amministrative di giugno, piazzando al Governo Piero Fassino e Roberto Giachetti, perdenti ai ballottaggi rispettivamente di Torino e Roma contro il M5S. E siamo ancora all’inizio.