Fin quando non torneremo a votare bestemmieremo la Festa della Repubblica

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di Valerio Musumeci

Oggi è il 2 giugno. E’ la Festa della Repubblica. E’ il giorno delle frecce tricolore e della parata militare, quella per la quale si sono scervellati a decidere se i marò finalmente tornati in Italia dovessero o meno partecipare. Oggi è l’acme, l’azione: il giorno in cui scegliemmo, dicono, la libertà e la democrazia in luogo della tirannia e dell’oppressione. 12 717 923 voti per la Repubblica contro 10 719 284 per la Monarchia, e via verso un futuro che i nostri bisnonni avevano solo potuto sognare. 

E figuriamoci se può venire uno e scrivere in un editoriale che così non è. Io non c’ero, non so come andò. Ho letto ciò che hanno scritto, devo fidarmi o accendere il dubbio. Ma di là da questo, nel giorno della Repubblica e del primo voto a suffragio universale della storia d’Italia mi chiedo per che cosa vorrei votare oggi, come cittadino e parte di un popolo. Vorrei votare per l’abolizione della cattiva politica, dei cattivi affari, delle cattive intenzioni di gente nascosta, ovvero contro la Monarchia e il fascismo? Sì. Vorrei votare per liberarmi dalla mafia, dal crimine, dalla guerra tra poveri? Anche. Ma prima di tutto vorrei votare per abolire ciò che poco più di un mese fa, il 17 aprile 2016, ha tenuto a casa gli italiani che non sono andati a votare rinunciando al diritto che – dicono, devo fidarmi? – il 2 giugno 1946 ci venne donato.

Il 17 aprile 2016 l’Italia si è incarcerata. Da sola. Ed è inutile dare la colpa alla cattiva politica, ai cattivi affari, alle cattive intenzioni: l’abbiamo fatto noi. Fin quando non si tornerà a votare, ad esprimere il proprio senso d’esistere nell’ombra materna dell’urna, non avrà senso e sarà quasi blasfemo festeggiare – se c’è da festeggiare – la Festa della Repubblica.