Ultima chiamata per il centrodestra. Silvio sia ancora il federatore

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Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia

Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia

di Andrea Di Bella

Chiaro e limpido. Un’eventuale rottura dell’alleanza del centrodestra a Roma tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia in vista dell’imminente voto amministrativo farebbe saltare gli accordi in quasi tutti gli altri centri chiamati alle urne il prossimo Giugno. Domanda: a chi giova una rottura del genere? Risposta: solo a Renzi e a Grillo. E’ lampante il fatto che il fronte giovane (il duo Meloni-Salvini) ha corso un rischio fortissimo nel fare un passo considerato da chi scrive più lungo della loro gamba. Anzitutto perchè Roma, dal punto di vista del centrodestra, è da sempre terreno di trattativa politica tra le forze moderate. Vale a dire che anche in questo passaggio, nonostante il tentativo di colonizzazione di Salvini al Centrosud, la Capitale (come anche Napoli, divenuta anch’essa territorio di scontro e contrattazione) andava lasciata a Forza Italia e a Fratelli d’Italia, con un movimento Noi con Salvini a collaborare nella nuova formazione inedita (il neo movimento costola meridionalista del Carroccio a Roma non vale più del 2% in tutte le rilevazioni). Dello stesso avviso anche maggiorenti della stessa Lega, Roberto Maroni in primis. Con queste premesse, a chiunque non sarebbe mai passato per la testa di tentare un vero e proprio “ribaltone” ai danni prima di tutto della coalizione – rischiando una frattura insanabile – e poi ancora di disarcionare un Berlusconi che ha certo pagato in termini elettorali la non lontana collaborazione col Governo, ma che a piccoli passi si è nuovamente avvicinato alle posizioni di Lega e Fdi, sottoscrivendo nei fatti la sua opposizione a Renzi. Una manovra che non può passare sottotraccia, considerato il fatto che Forza Italia cattura in tutti i sondaggi solo 1/1,5 punti in meno (recuperabilissimi) della Lega su base nazionale. Fatto che pone Berlusconi e Salvini, per chi lo avesse dimenticato, politicamente su un identico piano contrattuale. Ed inoltre, ribaltone perchè Guido Bertolaso, individuato dapprima insieme dai tre leader del centrodestra, ha ottenuto infine il solo sostegno di Forza Italia, contravvenendo di fatto ad un accordo preciso già stipulato dai leader. Un fatto che, da imprenditore quale è, non è andato giù a Berlusconi. Anche questo, un fatto del tutto comprensibile. Ma i sondaggi, anche questo un elemento da sempre imprescindibile del Cavaliere, danno ragione alla Meloni: la leader Fdi, nonostante avesse in un primo momento scartato la sua corsa al Campidoglio causa stato interessante, ha infine sciolto le riserve candidandosi in prima persona, sollecitata fortemente da tutto il suo partito (che su Roma ottiene in tutte le rilevazioni numeri e doppia cifra). Anche questo un fatto che non è certo sfuggito a Berlusconi, che però ha subodorato un che di fuga in avanti in un primo momento ingiustificata, in un secondo momento supportata dai numeri: Bertolaso si ferma all’8%, e nel centrodestra l’unico candidato che vede alla sua portata il ballottaggio è proprio Giorgia Meloni. 

Si giunge a ieri. Meloni ha presentato ufficialmente al Pincio di Roma la sua candidatura a sindaco sottolineando nei fatti – se ancora non fosse chiaro – che semmai qualcuno dovesse fare un passo indietro, quel qualcuno non sarà certo lei. Messaggio a Berlusconi: “C’è ancora tempo per dialogare. Berlusconi ha un ruolo importantissimo e le sue idee sono un patrimonio. Scelga lui”. A questo punto tocca al vecchio leader decidere cosa fare: consegnare la Capitale italiana al Movimento Cinque Stelle, oppure offrire una seria opportunità di rinascita nazionale al centrodestra e magari anche di vincere e prendersi Roma, ricompattando la coalizione a rischio anche a Napoli, Bologna e sottolineare ulteriormente l’accordo su Milano a sostegno di Stefano Parisi. Berlusconi ha da compiere una scelta: intestarsi la regia di una ritrovata federazione moderata – anche alternativa a questa illegittima esperienza di Governo – oppure perdere Roma, rischiare anche le altre città in cui il centrodestra esprime candidature validissime ed in più lasciarsi impropriamente descrivere come destabilizzante del nuovo e fisiologico baricentro del centrodestra. Nella prima ipotesi, non senza una seria e valida contropartita politica (a favore di Forza Italia) in chiave nazionale, in vista del voto nel 2018 (o nel 2017, in caso di sconfitta del referendum sulla legge costituzionale di ottobre). Una rinata alleanza romana, quindi (che dopo il voto potrebbe favorire una collaborazione anche con Alfio Marchini), aprirebbe quasi certamente le porte del Campidoglio al centrodestra. Ed il merito, manco a dirlo, sarebbe ancora di Berlusconi.