Renzi e Alfano verso un monocolore PD (in salsa DC)

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renzi alfano

di Salvo Reitano

E’ la politica bellezza! direbbe il direttore Lo Porto. E aggiungiamo: è la politica degli opportunisti, dei bugiardi, dei traditori. Con le dimissioni del ministro Maurizio Lupi la “balena bianca” è tornata e ha le sembianze di Matteo Renzi e del ministro dell’Interno Angelino Alfano, entrambi ex democristiani. Un killeraggio strategico, voluto dal premier, con la complicità del leader del Ncd, per riportare nel suo alveo il ricco e strategico dicastero dei Lavori Pubblici che fa gola a tutti. Lupi, come ministro, non ha commesso scorrettezze perseguibili per via giudiziaria, non è nemmeno indagato, né tantomeno ha commesso azioni politicamente e moralmente condannabili. Eppure lo hanno fatto fuori e ciò conferma, ancora una volta, il metodo Renzi che ci ricorda da vicino quello usato in occasione dell’elezione del capo dello Stato. Si va avanti per diktat, con Alfano che si fa mettere all’angolo, come un pugile suonato, e pur di mantenere il suo ministero e la partecipazione al governo non ci pensa un secondo a depositare sul piatto delle trattative la testa di Lupi. Quello che è accaduto alla Camera sa tanto di commedia napoletana, con Angelino che mostra a favore di telecamere un biglietto con una bella scritta: “Maurizio Lupi” (in alto più piccolo) e sotto, con il carattere più grande: “Onesto, Sincero, Concreto”. Nemmeno una parola, niente. Solo un misero biglietto.

Una trovata da consumato attore che non è sfuggita ai presenti, come al leader della Lega Matteo Salvini chiaro nel suo ragionamento: “Da parte di Alfano c’è stato uno squallore politico e umano. Non è il primo caso per cui la sua poltrona viene prima di tutto il resto”. E aggiunge: “Chiusa la partita Lupi, nesuno mi toglie il dubbio che ci sia la regia di Renzi per prendersi il ministero”. Per concludere: ” Da Alfano aspettiamo da mesi una risposta sulla gestione del centro immigrati di Mineo e se uno tace o è distratto oppure vuole nascondere qualcosa”. Queste ultime dichiarazioni ci riportano inevitabilemente ai sottosegretari indagati per i quali non è partita nessuna richiesta di passi indietro. Restano ancorati alla poltrona, garantisce il premier. Fra loro c’è anche il referente di Alfano nella Sicilia Orientale, Giuseppe Castiglione (Agricoltura), che sarebbe accusato di turbativa d’asta e abuso d’ufficio nell’indagine sull’appalto del centro Cara di Mineo, cui faceva rifertimento Salvini. Castiglione continua a negare e forse è vero altrimenti, visto che è del Ncd, Renzi lo avrebbe già messo alla porta. Però come si spiega la moralità che vale per uno e non vale per gli altri? Anche i sottosegretari avrebbero dovuto rassegnare le dimissioni così da fugare ogni dubbio e dare anche loro esempio di dignità e sensibilità. Invece niente. Basta non parlarne che la questione non si pone. Intanto la direzione provinciale del Pd di Catania ha approvato un documento con il quale chiede lo scioglimento ed il commissariamento del Consorzio che gestisce il Cara di Mineo, ma anche che la sua gestione venga posta in capo al ministero dell’Interno. Si, proprio il ministero di Angelino Alfano, il leader del partito nel quale milita anche Castiglione.

“A che gioco sta giocando il Pd?” si chiede Giordano Sottosanti, dirigente calatino e membro dell’Assemblea Nazionale di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale. «Seppur concordando con lo scioglimento del Consorzio, sarebbe infatti quantomeno un atto dovuto dopo che l’appalto da esso bandito è stato dichiarato illegittimo dall’Autorità nazionale anticorruzione e date le pesanti indagini in corso, ci sono però degli elementi che mi fanno dubitare della sincerità di questa presa di posizione da parte del Partito Democratico. In primis: affinché questo documento non diventi carta straccia, i sindaci del Pd che siedono all’interno del Consorzio saranno pronti e consequenziali nel dimettersi immediatamente da questo incarico? E poi: perché vogliono accentrare la gestione del Cara al ministero dell’Interno, quando a febbraio lo stesso on. Berretta (primo firmatario del documento), riprendendo alcune dichiarazioni del sindaco di Ramacca Franco Zappalà, con una interrogazione parlamentare lanciava di fatto ombre sul ruolo giocato in tutta questa vicenda da parte di Alfano e del suo luogotenente in Sicilia, quel  Giuseppe Castiglione oggi indagato? Insomma, visto che tanto alla fine il partito di Alfano e quello di Renzi governano insieme a Roma, quella del Pd etneo sembra una vera e propria pantomima. Un modo per gettare fumo negli occhi alla renziana maniera. Ma poi, nei tavoli che contano, si siedono tutti insieme appassionatamente».

Anche attraverso questi passaggi passa la costruzione del monocolore Pd di cui parlavamo all’inizio. Con Renzi uomo solo al comando e gli altri annessi, compreso Alfano che, di fatto, cedendo alle sue volteggianti acrobazie, da il via libera alla confluenza del Ncd nel grande partito del premier. Anche lui se vuole conservare il “posto” e la poltrona, dovrà continuare ad applaudire le veroniche di Matteo Renzi. Non poteva nemmeno lontanamente immaginarlo quando lasciò il partito di Berlusconi, convinto di trovarvi la libertà. E qui ci fermiamo perchè non osiamo immaginare come Angelino Alfano si disponga a questa nuova avventura dentro i Pd. Se non ne fosse sgomento lo saremmo noi per lui. Ma soprattutto lo siamo per il Paese che continua a correre verso la deriva e la cosa ci disturba non poco.

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