Referendum, lo scenario desolante del post voto

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Il presidente del consiglio Matteo Renzi (s) con Sergio Mattarella (d) durante la cerimonia del bicentenario dell'arma dei Carbinieri a piazza di Siena, Roma 05 giugno 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

Il presidente del consiglio Matteo Renzi (s) con Sergio Mattarella (d) durante la cerimonia del bicentenario dell’arma dei Carbinieri a piazza di Siena, Roma 05 giugno 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

di Franca Maria Zappia Tringali

Il Referendum si è concluso e divampano adesso gli attacchi fra i partiti, la ridda di ipotesi e argomentazioni dei vari opinionisti ed il clamore non accenna a calare data la situazione che si è venuta a creare dopo l’esito del voto. Che vincesse il No era scontato per vari motivi: il numeroso schieramento dei partiti (s)favorevoli, una popolazione che – come sta accadendo a livello mondiale – vota più per protesta che per vero convincimento, una campagna referendaria sgradevole nei toni e nei contenuti. Sebbene non lo si voglia ammettere, si è realizzato un paradosso di tipo pirandelliano: lo sconfitto è, in ultima analisi, uno che ha perso il referendum e subito una sconfitta politica ma che ha il suo partito in pugno in quanto grandissima parte di quel 40% che ha votato Si può probabilmente rappresentare un bacino di riferimento dell’elettorato renziano.

C’è da dire che Renzi, nella sua arroganza e presunzione, ha commesso lo stesso sbaglio dei leader greco e inglese: cioè non ha saputo capire l’umore popolare e gli ha affidato, sicuro di vincere, il responso finale. Ed inoltre, fin dall’inizio lo ha personalizzato parlando di dimissioni nel caso vincesse il No e quindi se fosse stato sconfitto: è andata proprio così.

C’è da considerare che da entrambe le parti non è stata una campagna referendaria volta ad informare i cittadini sui contenuti della riforma costituzionale per i quali erano chiamati a votare, bensì una campagna elettorale che ha dimostrato la pochezza culturale, politica ed educativa della nostra classe dirigente. E sono più pesanti le conseguenze post referendum. Si fosse votato solo per l’approvazione o meno della riforma costituzionale, così come avrebbe dovuto essere in un Paese civile, si sarebbe preso atto del risultato e tutto sarebbe finito lì; ma lo scontro è stato politico: l’esito ha determinato una crisi con conseguenti dimissioni di Matteo Renzi in un momento particolarmente delicato del Paese in quanto con in corso di approvazione la Legge di stabilità (approvata regolarmente dalla maggioranza nella giornata di ieri). Lo scenario futuro non è, comunque, confortante. Ci aspetta un periodo di instabilità con pesanti conseguenze sia all’interno del nostro Paese che nei suoi rapporti con l’Europa e con i mercati finanziari.

Tale convincimento deriva dalla constatazione che non sarà per nulla facile formare un nuovo Governo per via delle diverse posizioni assunte dai vari partiti, e per la difficoltà oggettiva nel formare una maggioranza che garantisca governabilità: esistono due leggi elettorali per cui andremmo a votare con due sistemi diversi di elezioni, uno per la Camera e uno per il Senato con tutte le conseguenze del caso salvo che la Consulta non riesca a dirimere la questione in modo chiaro il prossimo 24 gennaio. O a meno che il Parlamento non metta mano ad un accordo sulla legge elettorale per scriverne una nuova.

Un quadro deprimente, perché l’esito di questo Referendum ha dato modo a Salvini di alzare – giustificatamente – i toni, e a Grillo di far passare in secondo piano la gravità delle firme false per la presentazione delle liste a Palermo che ha dato il via anche ad un’indagine giudiziaria non di poco conto. Ciò che sta accadendo all’interno del Movimento e nella giunta Raggi e alla destra, di evidenziare quelle lacerazioni interne che non le consentono di essere l’unica consapevole e responsabile alternativa, non giova al sistema dell’alternativa che non riuscirà nel breve periodo a sfruttare l’onda interna ed esterna al nostro Paese. Un’onda che sta portando la destra ad emergere, data la crisi della sinistra. Uno smottamento che rischia di consegnare l’Italia a Grillo più che a Salvini. In questo desolante panorama l’unico punto di riferimento appare essere il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che da uomo equilibrato e da profondo conoscitore della Costituzione ha già iniziato con il suo comportamento a placare gli animi e dare tranquillità al popolo, a far capire che ormai il gioco è nelle sue mani e intende esercitare il suo ruolo e le sue prerogative nel modo migliore per il bene del Paese. Ha già iniziato inducendo Renzi a congelare le sue dimissioni fino all’approvazione di ieri della Legge di stabilità, mantenendo tutti i suoi impegni istituzionali per far capire che non è accaduta una catastrofe e che solo con un comportamento serio e responsabile da parte di tutti si potrà uscire dall’impasse in cui siamo finiti. Purtroppo Mattarella è uno, i Salvini e i Grillo sono tanti. Non resta che essere fiduciosi sul fatto che la serietà e il senso di responsabilità di uno vinca sui tanti vocianti e volgari.