Trentino, la Provincia finanzia educazione gender. E non risponde sul perché

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di Giuliano Guzzo

 

Che si parli in generale di insulti sessisti o di maltrattamenti di coppia, di disparità salariale o di omofobia le parole magiche coniate dal Pensiero Unico ad uso e consumo della massa sono sempre le stesse: «educazione di genere». Sarebbero difatti i percorsi scolastici improntati a codesta magica disciplina la soluzione, in pratica, a tutti i mali del mondo. D’altra parte, l’osannata «educazione di genere» non ha che un solo, trascurabile punto debole: la realtà. Un po’ come per l’educazione sessuale – celebratissima, ma i cui meravigliosi effetti sociali tardano, ove istituita, ad essere rilevati -, anche per quella «di genere», infatti, si fatica ad intravederne il senso a lato pratico. E quando qualcuno, legittimamente, osa chiedere riscontri concreti ai promotori di iniziative in tal senso questi, anziché elencare entusiasti gli incoraggianti risultati conseguiti, come ci si aspetterebbe, si trincerano dietro uno strano silenzio.

E’ successo anche in Trentino dove la Provincia – dopo aver promosso, lo scorso anno, percorsi di educazione alla relazione di genere che si sono effettuati in una ventina di scuole – ha scelto di sostenere ancora, per l’anno scolastico 2016/2017, l’iniziativa dato che, come si legge nella Deliberazione di Giunta provinciale n° 712 del 6/5/2016, è emersa chiaramente l’«efficacia dei percorsi». Per saperne di più un politico di opposizione, il Consigliere Claudio Civettini (Civica Trentina), ha pensato bene di formulare una apposita Interrogazione provinciale – la n. 3085/XV – proprio per sapere «sulla base di quali rilievi empirici, studi, ricerche o valutazioni rigorosamente non soggettive si è potuta riscontrare l’”efficacia dei percorsi” riproposti con la Deliberazione di Giunta provinciale n.712». Una curiosità per nulla polemica, come ognuno può vedere, alla quale ci si sarebbe aspettato una risposta altrettanto chiara e pacata.

Invece, curiosamente, la Giunta provinciale – che oltretutto, per regolamento, era espressamente tenuta a farlo entro il 12 giugno scorso – non ha ancora fornito alcuna risposta. Così, dopo aver pazientato oltre un mese, ieri Civettini ha inoltrato un sollecito di risposta alla sua Interrogazione nella speranza di capire quale esattamente sia l’«efficacia dei percorsi» riscontrata per «educazione di genere». Domanda che pare assai opportuna dal momento che non si è scelto di parlare, come del resto si sarebbe potuto, di generica “riuscita” in relazione a questi percorsi ma proprio, come detto, di «efficacia», termine che in italiano rimanda abbastanza chiaramente a risultati conseguiti. Risultati che, allo stato, rimangono però del tutto oscuri. Il che alimenta il sospetto che, per mettere in crisi i promotori «educazione di genere», sempre pronti a presentarla come premessa al progresso sociale, basti una banale curiosità sui dati di fatto. O forse è ideologico, oggi, pure interrogarsi sulla realtà?