Strage di Nizza, colpa della religione? No, del nichilismo

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di Giuliano Guzzo

Il teorema che voleva Mohamed Lahouaiej Bouhlel, il trentunette responsabile della strage di Nizza della settimana scorsa, in preda alla follia, si sta letteralmente sciogliendo come neve al sole. Non perché al volante di quel camion bianco, la sera del 14 luglio scorso, non vi fosse il divorziato e depresso di cui si era parlato con tanta enfasi all’inizio, ma perché quella era soltanto una parte della verità, e probabilmente la più comoda; l’altra – quella che sta emergendo nelle ultime ore – sta restituendo agli investigatori l’inquietante profilo di un uomo che, nel giro di pochissime settimane, è passato da una «vita sessuale senza freni», fatta di locali latinoamericani, siti per incontri bisessuali ed eccessi, all’ultraviolenza jihadista. Suffragano questa sconvolgente pista diversi elementi fra cui le più recenti ricerche sul web dell’assalitore, all’insegna di «decapitazioni», «terribile incidente mortale», «cadaveri dell’Isis» e «nashid», i canti religiosi usati nella propaganda jihahdista, e la testimonianza di un suo zio, secondo cui si sarebbe lasciato indottrinare in appena due settimane. Ora, questi riscontri sono troppo lampanti e contraddittori per non sollevare interrogativi: com’è possibile? Che cosa è successo? Quale delirio può aver spinto il giovane franco-tunisino a trasformarsi, con spiazzante rapidità, da individuo licenzioso ad Angelo della Morte? Il peso di queste domande porterà molti ad evitarle o addirittura a ripiegare ancora sull’ipotesi – adesso assai traballante – dello squilibrato. Del resto, è comprensibile.

Infatti, è impossibile guardare alla radicalizzazione lampo di Mohamed Lahouaiej Bouhlel senza dover amaramente ammettere che, in verità, non c’è stata dato che nel momento in cui il futuro attentatore si immergeva in un’esistenza senza regole stava già respirando quel vuoto di umanità che lo avrebbe spinto, dopo un po’, a perderla del tutto. Attenzione: dire questo non significa, banalizzando, asserire che chiunque conduca una vita «senza freni» sia un futuro terrorista né s’intende associare il diffondersi del terrorismo islamico – che non nasce certo in Europa – alle nostre viscere culturali. La biografia dell’autore della strage di Nizza sottolinea altro, vale a dire la consustanzialità fra nichilismo e terrorismo cosa che, prima di altri, aveva notato con acume il filosofo André Glucksmann (1937–2015): «Credo sia questa la filosofia del terrorismo: il nichilismo. Che cos’ è il nichilismo? Sintetizzando al massimo, si può dire che con il nichilismo tutto è permesso. Abbiamo il diritto, ci prendiamo il diritto di uccidere dei civili, di uccidere dei bambini, di uccidere dei passanti, di uccidere chiunque. Tutto è permesso. È questo il motto, il leitmotiv del nichilismo. Questo ci insegna molto. Dire che l’essenza del terrorismo è il nichilismo significa che non si può ricondurre il terrorismo a un fanatismo religioso. Equivale a dire che è qualcosa che va al di là, che travalica una guerra di religione» (Corriere della Sera, 15.12.2004, p.35).

Ciò che invece, da sociologo, avevo evidenziato io alcuni mesi fa, era il sorprendente legame tra il fenomeno della secolarizzazione e la crescente simpatia, in alcuni giovani, verso il terrorismo di matrice islamista. Un legame, anche qui, non causale ma netto e che conferma su scala europea l’intuizione di Glucksmann. Ricordo che le mie osservazioni indispettirono molti, i quali mi accusarono di semplificare. Se la vedano loro, allora, con la storia dello stragista di Nizza e provino – se vi riescono – a spiegare, tralasciando l’ipotesi della consustanzialità fra nichilismo e terrorismo, la velocità con cui il Nulla ha inghiottito quell’uomo, facendone uno jihadista estremo. Credo che, dopo un po’, anche costoro ammetteranno – senza che questo, sia chiaro, scagioni il mondo islamico dalle sue responsabilità, specie in termini di omertà, rispetto al terrorismo islamista –  quello che si sta delineando con chiarezza, e cioè che Mohamed Lahouaiej Bouhlel si è convertito così presto alla causa jihadista non nonostante la “scarsa religiosità” di cui si raccontava subito dopo all’attentato, ma proprio grazie a questa. Senza che se ne rendesse conto, infatti, nel momento in cui il giovane liberava in solitudine la sua esistenza da ogni principio stava facendo spazio ai demoni che, di lì a poco, si sarebbero presi quel che restava della sua vita e quella di tanti innocenti. E’ una verità amara, me ne rendo conto, ma è tempo di fare a meno delle bugie. Anche delle più rassicuranti.